La Banda del 22 Ottobre

Lo scopo per cui nacque il gruppo 'XXII ottobre' - per stessa ammissione dei suoi appartenenti- era stato quello di introdurre, nella vita politica italiana, il metodo della guerriglia urbana, caratterizzato da esplosioni, incendi e sabotaggi, dandone la maggiore pubblicità possibile nella speranza di ottenere, così, il progressivo diffondersi di un sostegno popolare alle proprie azioni ed ai propri obiettivi. Per utilizzare lo stesso linguaggio dei componenti della banda, il fine perseguito dal gruppo 'XXII ottobre' era quello di "scardinare i poteri dello Stato".
Questo almeno è quanto emergeva dai propositi manifestati dai membri dell'organizzazione; non si può certo nascondere che, da una rilettura critica delle vicende legate alla vita del gruppo, lo spessore politico dei suoi appartenenti -vertice incluso- fosse piuttosto modesto e che a muovere l'organizzazione sia stata, forse, la ricerca, ad ogni costo, di un cambiamento radicale in evidente dissenso dal modo con cui il PCI dell'epoca portava avanti le proprie battaglie politiche.
Sotto il profilo prettamente operativo la banda 'XXII ottobre' non faceva mistero di ispirarsi ai metodi della guerriglia urbana, teorizzati dal rivoluzionario brasiliano Carlos Marighella nel suo "Piccolo Manuale del guerrigliero urbano". Molte delle azioni, poste in essere dal gruppo, collimavano perfettamente, quanto anche gli obiettivi prescelti, con i contenuti del manuale che individuava nei rappresentanti del mondo capitalistico ed industriale (tra cui gli Stati Uniti d'America), ed in coloro che ne preservavano l'integrità, i nemici contro cui condurre una sfiancante e sistematica azione di sabotaggio e distruzione.
Non è un caso se, tra le imprese delittuose realizzate dal gruppo 'XXII ottobre', vi siano stati attentati incendiari nei confronti di aziende o gruppi industriali che rappresentavano, all'epoca, i simboli più chiari del capitalismo italiano (tra cui la Ignis e la raffineria Garrone) e, altresì, all'indirizzo di obiettivi di evidente rappresentatività istituzionale (sede del consolato USA di Genova o caserme dell'Arma dei Carabinieri).
Ma l'aspetto che più segnò, in negativo, le sorti della banda e ne compromise ogni velleità di futuro consolidamento ed affermazione fu l'incapacità di far leva sul movimento di protesta che si era formato in Italia, sul finire degli anni '60, e di creare con esso un terreno di confronto e, al contempo, di sostegno alle proprie azioni.
Era prevalsa, probabilmente, la convinzione-presunzione che la Genova dell'inizio degli anni '70 avesse ancora conservato i connotati che l'avevano caratterizzata nel corso del secondo conflitto mondiale, che erano valsi, peraltro, a conferire alla cittadinanza la medaglia d'oro della resistenza - o, in epoca più recente, le stesse pulsioni che avevano portato alla caduta del governo Tambroni, per i noti episodi di Piazza de' Ferrari dell'estate del 1960.
In realtà, questa aspirazione, quella cioè di unire in un unico contesto sociale i movimenti studenteschi dell'autunno caldo del 1969 e le lotte operaie per i diritti sindacali nelle fabbriche, si concretizzò solo qualche anno più tardi a partire dal 1975, epoca in cui la 'XXII ottobre' poteva oramai solo essere ricordata come una tra le tante pagine tristi e sanguinose che segnarono la storia del terrorismo rosso nella città di Genova.
Non che la banda avesse sottovalutato l'importanza dell'attività di propaganda e, soprattutto, la necessità di rimarcare il legame ideologico con i movimenti del passato. Le famose interferenze sul primo canale della R.A.I., con cui il gruppo rivendicò le sue prime azioni delittuose, e, poi, tutte le altre iniziative realizzate nel corso del 1970 e del 1971, dimostravano l'attenzione riposta dall'organizzazione verso una forma embrionale di propaganda mediatica e, ancor più, il richiamo che in esse si faceva alla denominazione di GAP (Gruppi di Azione Partigiana) ed alla lotta verso il capitalismo, il fascismo, gli industriali, gli Usa, la Nato e la Spagna franchista, denotavano, almeno in teoria, la volontà di far leva sullo spirito di lotta contro l'oppressore, che era stato il propulsore emotivo della resistenza condotta dai primi gruppi di azione partigiana genovesi dopo il settembre del 1943.

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