9 Maggio 1978

Tra qualche giorno sono 30 anni .
30 anni che Peppino Impastato non c'è più.
Una vita spezzata dalla mafia.
Spezzata a 30 anni.
Un ragazzo di cui la mafia ebbe paura.
La paura che Peppino non ebbe.
Radio Aut, la radio libera , che Peppino e i suoi amici ,autofinanziandosi, fece controinformazione e soprattutto satira nei confronti della mafia e degli esponenti della politica locale,le sue poesie, i suoi scritti, ancora oggi sono pilastro per le organizzazioni nate dopo la sua morte.
La sua morte.
Il suo omicidio.
Il 09 maggio 1978, il suo corpo fu dilaniato da una carica di tritolo , ma questo non bastò ad eliminarlo.
Peppino , candidato per la Democrazia Proletaria,alal carica di consigliere comunale, fu eletto lo stesso.Gli elettori lo votaro,risultando eletto, nonostante fosse già morto.
Ma Peppino, i suoi insegnamenti, non sono stati sotterati.
Grazie Peppino

sito internet:http://www.peppinoimpastato.com/
il film su Peppino: I cento passi.



Una poesia di Peppino:
Lunga è la notte e senza tempo.Il cielo gonfio di pioggianon consente agli occhidi vedere le stelle.Non sarà il gelido ventoa riportare la luce,nè il canto del gallo,nè il pianto di un bimbo.Troppo lunga è la notte,senza tempo,infinita

Commenti

Anonimo ha detto…
ho visto i Cento passi almeno dieci volte, è intenso e toccante. La parte più bella? Quando Luigi Maria Burruano, grande attore siciliano che nel film interpreta la parte del padre di Impastato, viene investito ed ucciso mentre confusamente cammina per strada e rifiuta un passaggio proprio da Giuseppe, lui che fino all'ultimo ha tentato di salvare il figlio, offrendogli la possibilità di andarsene negli Stati Uniti dai cugini...e poi la fine del film, ovviamente, con il corteo dedicato a lui...
Anonimo ha detto…
Come proposto nel precedente post, sarebbe bello che tutti colorono che han visto il film o lo vedranno scrivano quì la sensazione provata alla fine. A me ha suscitato, oltre all'emozione, rabbia.
Anonimo ha detto…
Con De Masi per Niemeyer…
facciamo un passo nel passato rileggendo critiche e elogi sulla sull'opera ormai in corso!!!



Mi conforta che in molti su questo sito abbiano puntato il dito contro la procedura usata dal comune di Ravello per aggirare il concorso e dare l'incarico a Niemeyer direttamente.
Mi sconforta profondamente che molti dei paladini del cambiamento difendano invece il vecchio, vecchissimo sistema delle clientele.
Al di là dei motivi che stanno dietro la decisione di inventare una procedura fantasiosa per far si che l'auditorium lo facesse Niemeyer (o Rosa Zeccato? ma Rosa Zeccato sara pur iscritta ad un ordine, e l'ordine non dice niente???), forse c'è solo l'amore per l'architettura, forse no, è evidente che si tratti di una cosa inaccettabile, non solo perche aggira una legge (orrenda) come la Merloni, ma perche aggira il diritto di tutti i progettisti al confronto pubblico.
C'è anche chi pensa che i progetti di architettura siano opere d'arte e che quindi, l'architetto come l'artista dovrebbe basare le sue fortune, come era nel Rinascimento, sulla rete di conoscenze "influenti" che riesce a tessere.
Beh, io sinceramente mi illudevo che fosse scontato che in un paese democratico la gestione della cosa pubblica non potesse essere operata con la disinvoltura invece comprensibile per gli incarichi privati o per le dittature rinascimentali.
Voglio dire, se De Masi dovesse fare casa sua non ci vedrei assolutamente nulla di male se facesse una telefonata a Niemeyer e gli desse l'incarico (contento lui...). Un auditorium che costa l'ira di dio di soldi pubblici credo sia una faccenda molto, molto diversa. Perche l'Italia, ci piaccia o no, è un paese democratico e non il Vaticano, o la Firenze del '500 (grazie a Dio). Di conseguenza ci vuole un concorso.
Sono giacobino? Giacobino non so... manicheo senz'altro. Chi sostiene questo auditorium è un malfattore. Punto. Chi ostacola il concorso per l'auditorium è un malfattore, c'e' poco da fare e poco da argomentare. Non si tratta di opinioni, ma di principi.
Poi si può tirare l'acqua a tutti i mulini del mondo (io, al contrario di quasi tutti gli altri, la tiro al "nostro" e non al "mio"). Rimane il fatto che questi 18,6 milioni di euro sono uno scippo operato ai danni di tutti noi. E sinceramente mi è molto difficile solidarizzare con chi si felicita di questo.


7/2/2004 . Sandro Lazier risponde a EnricoGBotta:
Caro Botta, io credo che non esista più nessuna seria possibilità di dialogo. Malgrado la generosità con la quale diamo spazio a qualsiasi genere di commento – e molti lettori ci rimproverano questo atteggiamento forse troppo indulgente – alla fine non muoviamo di un pelo le nostre convinzioni e quelle dei nostri interlocutori. Quindi, fatica sprecata.
Si rende conto che veniamo accusati di speculazione, connivenze varie e complicità indegne. Lei ci definisce malfattori punto e basta. E questo avviene in casa nostra, nel nostro giornale e senza nessuna giustificazione razionale. L’articolo di Paolo G.L. Ferrara, infatti, non conteneva nulla di tutto quello che ci viene sputato addosso. Per cui ci siamo scocciati delle stupidaggini, che provengano dal centro, da destra o da sinistra, alle quali non intendiamo più dare spazio e risonanza.
P:S: mi sono permesso di togliere il link che ci ha segnalato in virtù di questa rinnovata tendenza editoriale.

- Sandro Lazier


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31/1/2004
Commento 612 relativo all'articolo:
Con De Masi per Niemeyer di Paolo G.L. Ferrara


Cara Arianna,
la questione della procedura seguita nel caso di Ravello è molto importante perché ha dimostrato una cosa che i meno ingenui di noi già sapevano da molto tempo: che le leggi possono essere aggirate.
A Ravello hanno fatto i disinvolti per molti motivi, il primo è evidentemente il principio "padroni a casa nostra", a dispetto di tutto e di tutti.
La legge 109, che giustamente citi, è stata bypassata con una tale disinvoltura ed eleganza che lasciano attoniti: Niemeyer "regala" al comune il modellino e qualche schizzo, passati sotto le mentite spoglie di "opere d'arte", quindi non si tratta di un progetto di architettura (e la 109 con le "opere d'arte" non ha nulla a che fare), dopo di che il progetto definitivo viene firmato formalmente dall'architetto dell'ufficio tecnico di Ravello, Arch: Rosa Zeccato. Due piccioni con una fava: in giro si dice che il progetto è di Niemeyer per gli ovvii motivi di pubblicità, ma nella forma la firma l'ha messa l'arch. Zeccato. Ora, se io fossi l'Ordine un po' mi agiterei, e invece...
Come afferma il sindaco di Ravello, Secondo Amalfitano: "A Niemeyer è stata affidata una consulenza per la parte architettonica, al di sotto della cosiddetta soglia Merloni, per un importo di 95.000 euro. Si procederà poi con il sistema dell’appalto integrato, previo bando europeo, all’affidamento della progettazione esecutiva e dei lavori".
Resta da chiarire come faranno a tenere fede alla clausola imposta da Niemeyer di essere incaricato della direzione dei lavori (il suo studio, non lui, visto che lui non prende l'aereo e che quindi a Ravello non c'è mai stato né mai ci metterà piede).
L'obiezione sollevata da ItaliaNostra, per chi abbia letto il testo del ricorso, non fa una piega visto che le violazioni alle regole, nel senso più ampio del termine, operate in questo caso sono palesi e numerose.
A me, tra l'altro, piacerebbe che qualche valoroso critico si azzardasse in una critica del progetto in se stesso, ma pare che tutti abbiano tirato i remi in barca su questa questione. Il sindaco di Ravello addirittura definisce Niemeyer il più grande architetto vivente, peccato che lo dica qualunque committente del proprio architetto di fiducia.
L'opera di Niemeyer in Italia c'è già, è la Mondadori e risale al 1968. Nel frattempo, come si è detto, di acqua sotto i ponti ne è corsa, e forse un pezzo di architettura modernespressionista anni '50 a posteriori ce la potremmo risparmiare. Ma come insegnano gli antichi, de gustibus...
sulla vicenda segnalo il sito di Edoardo Salzano, ricchissimo di documenti e links: www.eddyburg.it
per chi avesse mancato la trasmissione di sabato scorso di Ambiente Italia dedicata alla vicenda dell'auditorium:
http://www.ambienteitalia.rai.it



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24/1/2004
Commento 602 relativo all'articolo:
Con De Masi per Niemeyer di Paolo G.L. Ferrara


Premetto che ho seguito solo distrattamente il dibattito sull’auditorium di Ravello come si è sviluppato qui sulle apgine di antithesi. Ciò nonostante mi permetto di condividere le perplessità che alcuni lettori hanno espresso sulla vicenda a prescindere dal caso specifico del progetto di Niemeyer.
In particolare credo che la procedura adottata per “assegnare” l’incarico per l’auditorium all’architetto brasiliano sia assolutamente discutibile, fermo restandone la leggitimità.
Quindi al di là delle solite diatribe tra fronte del si e fronte del no, mi sembra che il nocciolo vero della questione (non solo di questa e per questo vale la pena discuterne) sta nel fatto che i processi che portano all’assegnazione di incarichi che abbiano un impatto diretto su una comunità avviene in modo o arbitrario o non traspearente, comunque in un modo non democratico.
Allora, ripeto, al di là delle discussioni sul merito del progetto che lasciano il tempo che trovano visto che nessuna delle parti può vantare una qualsivoglia oggettività, l’unica soluzione sono concorsi trasparenti e democratici.
Questo, al contrario di ciò che si può pensare, è ben altro che “wishful thinking”, si tratta piuttosto di una cosa assolutamente realizzabile nella realtà e il caso di Ravello può essere un’ottima occasione per aprire la strada a nuove procedure concorsuali.


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21/1/2004
Commento 594 relativo all'articolo:
Dal Co e il suo spettacolo osceno e commestibile di Irma Cipriano


Lo scambio tra Giovanni Damiani e Paolo Ferrara mi ha incuriosito e sono andato a leggere l’articolo di Irma Cipriano.
Mi sembra che il senso dell’articolo, che condivido, sia “basta con questo linguaggio”. Non tanto perche “brutto” o insolente, ma perche completamente inutile.
Giovanni Damiani si irrita e dice che la signorina Cipriano è sostanzialemnte un’ignorante perché non sa che per DalCo “putrefazione” “membra disarticolate” hanno un accezione positiva.
Avrà le sue ragioni per prendersela così, per impartire lezioni a destra e sinistra per dare dei “perdenti” ad altri e non a se stesso. Soprattutto, evidentemente pensa di poterselo permettere. Chissà perché. Forse per lo stesso motivo per cui ritiene che DalCo si può permettere di scrivere emerite scemenze e tutti zitti perché se non si ha studiato quello che dice lui non si può neanche fiatare.
Allora, l’idea di fondo è che ognuno è padrone di avere una sua opinione, anche Irma Cipriano e anche Giovanni Damiani.
Se si difendono i ruoli e le caste però, come cerca di fare Giovanni Damiani, si devono accettare le conseguenze delle proprie scelte, che possono anche essere delle sonore pernacchie provenienti dal volgo ignorante.
Si parla di studiare, ma bisognerebbe anche capire cosa si studia e perche si studia. I percorsi critici sono una nobile impresa, ma infondo, perché ce ne dovrebbe fregare qualcosa dei persorsi critici approntati da chi fa conferenze sul lavoro e sul pensiero di un altro? Cioè, se Tschumi non fosse esistito su cosa la faceva la conferenza il signor Giovanni Damiani? Mi rendo conto che questa è una critica ai critici un po’ vecchia, ma fino a prova contraria i topi di biblioteca non sono architetti.
Quella dello studio è una bella favola che era tanto di moda tra i cosiddetti intellettuali “comunisti” (che col comunismo ovviamente non avevano nulla a che fare), in realtà solo affetti da gravi forme di invidia sociale, arrivismo, e complessi di inferiorità, come Tafuri, Cacciari e DalCo appunto. Lo “studio” era visto come strumento di affrancamanto da condizioni di inferiorità, vera o presunta che fosse: solo una favola però, visto che, come è noto, non si può essere null’altro di ciò che si è.
Chiudo, dicendo che ho trovato gli interventi di Giovanni Damiani, se non si fosse capito, molto irritanti e tipici delle patologie appena descritte, ma soprattutto fondati sulla convinzione, a mio avviso oggettivamente ingiustificata, di potersi permettere di esprimere giudizi riguardo l’ignoranza altrui. Giovanni Damiani non sarà ignorante o forse si, ma di certo è arrogante e antipatico, e studiare tanto temo non avrà nessun effetto positivo su queste due cose.
Saluti


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1/12/2003
Commento 258 relativo all'articolo:
Ventate Accademiche di Giovanni Bartolozzi


Giovanni Bartolozzi scrive:
"Ci spiegherebbe Leon Krier e soprattutto ci dimostrerebbe per quali motivi il movimento ha fallito? E come fa ad essere convito di una simile affermazione?"
Leon Krier ha scritto un bel libro intitolato "Architettura. Scelta o Fatalita" (Laterza, 1995), che credo ricalchi volutamente il famoso libro di Jacques Monod "Il Caso e la Necessita". Krier spiega molto chiaramente le modalita' del fallimento del movimento moderno con argomenti a mio avviso molto convincenti. Alcuni dei quali riguardano lo *spazio* e non la forma, o Forma. Particolarmente illuminanti i numerosi schemi illustrativi che fanno il verso agli schemi di Le Corbusier in "Verso un'architettura" e del suo l'ibro sull'urbanistica.
Un libro che consiglio, a lei come a chiunque, di leggere. Tra l'altro si legge molto agevolmente. Anche perche non si puo' pretendere che vada in giro a ripetere i contenuti di una ricerca ad ogni conferenza o ad ogni inaugurazione di rivista a cui e' invitato. Tantovale informarsi preventivamente sui dettagli delle posizioni di uno studioso.
Il suo intervento suscitera' sicuramente l'apprezzamento di chi gia' la pensa come lei, per partito preso. Si sente il nome di Krier e si sa che si deve essere contrari, a priori.
Pero' non e' stato in grado di convincere chi come me pensa che nelle affermazioni di Krier infondo ci sia molto buonsenso. Magari smentito nella pratica, ma sul piano delle intenzioni io non vedo nulla di deprecabile.
Krier sostiene che una citta' che si espanda oltre un certo livello (che lui individua nella distanza percorribile a piedi in 10 minuti cioe' circa 500m), debba duplicare il suo sistema fatto di "res publica" e "res economica" a fromare la "civitas". Quindi una citta' che quando si espande diventa policentrica, un insieme di comunita' e non divisa in zone funzionali.
"Una citta' non e' come una grande casa. Una casa non e' come una piccola citta'. Un grande complesso non puo' essere un edificio solo. Una citta' non e' fatta di corridoi e di sale, Una citta' e' fatta di strade e piazze, di isolati e di monumenti." (Krier, L.)
Visto che qualcuno cerca di definire l'architettura digitale, qualcun altro potrebbe finalmente chiarire cosa si intende per accademia? perche comincio a pensare che questi siano solo termini alternativi per "noi" e "loro"...


12/1/2003 . Sandro Lazier risponde a EnricoGBotta:
Caro Enricogbotta
mi chiedo come sia possibile, malgrado l'assidua partecipazione come commentatore degli articoli di antithesi, che Lei si chieda ancora di spiegare cosa è l'accademia.
Se Leon Krier la convince più di chi la pensa nel modo opposto non c'è nessun problema; sta a lei scegliere a chi dedicare il suo tempo.
Ma sappia che gli attacchi personali o i commenti generici senza contenuti non saranno più presi in considerazione.
- Sandro Lazier


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8/11/2003
Commento 480 relativo all'articolo:
Design inerba di Gianni Marcarino


Se Sandro Lazier evitasse ti saltare al collo di chiunque esprima la sua opinione forse si riuscirebbe anche a fare un discorso sensato...
Il problema che Giovanni d'Ambrosio solleva e' banalmente importante, quasi ovvio direi, e mi sembra naturale che si stupisca di come a volte (spesso) i problemi piu' basilari vengano sottovalutati o ignorati.
A me l'idea del comodino "vivente" li' per li' e' piaciuta. Poi mi e' venuto il dubbio di aver gia' visto una cosa del genere in una galleria d'arte newyorkese. Al di la' di questo il problema della necessità nel design, ma non solo nel design... nella creatività in genere (di cui forse Lazier ha una visione piu' ampia), e' fondamentale perche' un oggetto non necessario difficilmente sara' amato, quindi usato, quindi prodotto.
L'idea del comodino vivente mi piace (anche se ripeto, non credo sia del tutto originale ne' nella sua attuazione ne nella sua filosofia) perche' infondo risponde a una necessita', è (puo' essere) un oggetto persino utile, anche se al di fuori dall'ambito in cui normalmente applichiamo questa caratteristica ad un tavolo.
La necessità a cui vuole rispondere questo oggetto non e' solo quella di fare il tavolo (compito a cui per altro assolve pienamente) ma di diventare l'oggetto delle cure del suo padrone. Un tamagotchi in forma di tavolo e da certi punti di vista meglio del tamgotchi perche del tutto "naturale".
Come grandi designer ci insegnano, spesso gli oggetti fanno "altro", vanno al di la' di considerazioni meramente utilitaristiche. Un caso su tutti? Il famigerato spremi agrumi di Starck, che egli stesso ha definito non come "spremiagrumi" ma come "rompighiaccio", non perche' lo si usi per rompere letteralmente il ghiaccio, ma perche la sua "stravaganza" puo' servire a far partire una conversazione tra sconosciuti, come ad esempio tra una imbarazzata giovane nuora e la suocera.
Le necessita', lo sappiamo, per un animale evoluto come l'uomo sono di natura molto varia.
saluti
enricogbotta



8/11/2003 . Sandro Lazier risponde a EnricoGBotta:
E no, caro Botta.
Io non salto al collo proprio di nessuno. Non mi piace, non è nella mia natura, lo trovo disdicevole.
Ma devo difendere quello che e cosa pubblico e non posso, quindi, ignorare interventi di lettori-commentatori che si abbandonano a pedanterie irritanti. Conosco bene e personalmente Luca Toppino il quale è una persona buona e generosa, che vivrà la sua vita guadagnandosela onestamente con il suo lavoro e con quella generosità e giocosità che invece pare essere estinta presso anche, come ripeto, bravi architetti forse un po’ troppo compiaciuti.
No posso permettere a nessuno di dire “Mi auguro solo che questi nuovi progettisti siano un giorno in grado di mantenersi economicamente con le loro idee e poterle inserire nel mercato economico che è ben diverso da quello che si dice intellettuale.” senza reagire.

- Sandro Lazier


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4/11/2003
Commento 468 relativo all'articolo:
Eisenman, Gehry e '...la ripetizione dell'identico' di P.GL Ferrara - S. Lazier


A scadenze quasi regolari mi si invita a scrivere un “un articolo in cui illustri e commenti un opera di questi anni che abbia per me un vero valore nel contesto architettonico di oggi”. Inviti a cui rispondo come ho sempre fatto, e cioe’ dicendo che non sono un critico ne’ ho interesse a diventarlo. Le opinioni che saltuariamente esprimo sono le opinioni di un giovane ricercatore che evidentemente ha le sue idee ma che non pretende in alcun modo di fare della critica seria.
Detto questo, invito chi non l’abbia fatto a leggere il mio intervento precedente su questo tema e a guardare la foto che gentilmente Ferrara ha messo in cima all’articolo a cui questo commento si riferisce. Ora, per conoscere quale sia il potenziale “positivo” (perche poi sia necessario essere positivi non mi e’ chiaro, si legga un bell’intervento di Mara Dolce su newitalianblodd.com http://www.newitalianblood.com/testi/testo121.html) di me stesso si legga tra le righe, meglio se le righe sono tante visto che la verita’ e il significato sono fatti statistici, e si capira’… non c’e’ a mio avviso alcun bisogno di leggere le etichette ne tanto meno di appicicarle su tutto e su tutti.
L’evidente disagio di Saggio (scusate il gioco di parole) e Ferrara si spiega con la difficolta’ a etichettare i miei interventi, credo per altro sia un difficolta' di molti. Il piu’ delle volte, in mancanza d’altro ci si accontenta di definirmi nichilista.
Il fatto che io non proponga opere che reputo valide o significative nel panorama contemporaneo e’ perche ritengo una tale operazione estremamente scorretta. Primo perche qualsiasi opera e’ insufficiente, e questo e’ un principio che bisogna accettare. Secondo perche l’opera e’ contestuale, e per parlarne bisogna parlare del (e conoscerne) il contesto. Un’opera e’ singolare, contestuale e insufficiente, l’opera di un architetto e’ singolare, contestuale e insufficiente, l’opera di un gruppo di architetti e’ singolare, contestuale e insufficiente. In poche parole, di opere di architettura non si puo’ e non si deve parlare. Chi la pensa diversamente da me ne parla e ne scrive, a mio avviso compiendo esclusivamente una mistificazione.



4/11/2003 . Paolo GL Ferrara risponde a EnricoGBotta:
Ovviamente, ne sono certo, Botta, quando parla di "mistificazione" si riferisce al suo significato inteso quale "alterazione", e non quale "falsificazione"....
C'è infatti una differenza sostanziale, perchè la critica è certamente soggettiva ma difficilmente può falsificare (o, quantomeno, è facilmente smascherabile), poichè discute su argomenti oggettivi, ovvero disponibili a tutti, e su cui tutti possono soggettivamente esprimere opinioni.
Altro: caro Enrico, credimi, non mi hai messo a disagio (non hai due belle poppe, non hai due belle gambe e, per di più, sei maschietto...il che non mi attira, assolutamente), piuttosto, con i tuoi interventi, dai spunto a temi che andrebbero approfonditi, e se ciò significa "fare critica", bè, anche tu lo sei a modo tuo, così come io (che critico non mi ritengo, ugualmente a te) lo sono quando apro bocca ed esprimo la mia analisi delle cose (anche su due belle poppe, sicuro!).
Ora, se è scorretto proporre opere valide su cui discutere, altrettanto lo è criticare senza proporre. E, nel tuo caso, è ancora più grave, perchè non ti mancano certo i numeri per farlo. Altro che "...giovane ricercatore che evidentemente ha le sue idee ma che non pretende in alcun modo di fare della critica seria". Se così fosse, saresti anche tu "mistificatore", ma quale "falsificatore".

Aggiunge Sandro Lazier
Dice Botta:"...in mancanza d’altro ci si accontenta di definirmi nichilista.[...] In poche parole, di opere di architettura non si puo’ e non si deve parlare. Chi la pensa diversamente da me ne parla e ne scrive, a mio avviso compiendo esclusivamente una mistificazione." Come volevasi dimostrare.
Tra l'altro, Botta, fin'ora, di cosa parlava se non d'architettura, di filosofia forse?
- Paolo GL Ferrara


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3/11/2003
Commento 463 relativo all'articolo:
Da mille a centomila concorsi d'architettura di Beniamino Rocca


Le proposte di Beniamino Rocca e del Co.Di.Arch sono senz'altro sensate. Le condivido. Ma cosi come sono rimangono su un piano puramente idealista e sarebbero difficilmente applicabili (scommettiamo che non saranno MAI applicate?). Le idee che vogliono cambiare uno stato di cose, portare un cambiamento radicale, devono tenere conto degli interessi in ballo, di tutti gli inetressi, e cercare di stabilire un equilibrio diverso. Le proposte di Rocca non saranno mai applicate perche non portanno nessun vantaggio agli enti banditori. Ad esempio, se la procedura concorsuale garantisse al banditore effettivamente la selezione di proposte oggettivamente valide, con il massimo della qualità possibile, beh allora magari sarebbe disposto, in cambio, a offrire una procedura concorsuale trasparente... si tratta di trovare il modo epr rendere questo possibile. Fare proposte eccessivamente idealiste purtroppo non ci porta da nessuna parte.


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2/11/2003
Commento 460 relativo all'articolo:
Eisenman, Gehry e '...la ripetizione dell'identico' di P.GL Ferrara - S. Lazier


Non ho mai pensato che Gehry fosse la “morte nera” dell’architettura. Un ruolo questo che spetta di diritto a Peter Eisenman, vero e unico artefice dell’intellettualismo autocompiaciuto dell’architettura degli ultimi15-20 anni. Come l’impero del male in guerre stellari, anche le vie dell’intellettualismo estremo introdotto sul volgere degli anni ’60 dalle elucubrazioni di malati di mente (non e’ un insulto ovviamente, ma una diagnosi), influenzati a loro volta da veri e propri psicopatici come Derrida e le premiata ditta Deleuze Guattari, sono infinite. Persino l’estremismo apparentemente opposto del quasi-pop Koolhaas non è altro che uno dei molti strumenti dell’impero intellettual chic dei circoli londinesi e newyorkesi, monopolisti della cultura architettonica della seconda metà del ‘900 e artefici della sua distruzione. Chi sostiene che non ci fosse niente da distruggere, come molti affermano, dice una grossa falsita’. Prima c’era un discorso (e non a caso dico “discorso”) che qualcuno, il Darth Vader Peter Eisenman, si è divertito a fare a pezzettini (prima di lui c’era stati altri ma forse non sono stati cosi’ determinati). Ora sta a noi “mandarli a casa”, o si capisce (leggere: o i giovani capiscono) che è *obbligatorio* liberarsi di questi fardelli o presto “architettura” non vorra’ dire piu’ assolutamente niente.
La frasedi Eisenman citata da Ferrara/Lazier non dice nulla sul lavoro di Gehry. Dice molto sul lavoro di Eisenman “in confronto” al lavoro di Gehry… siccome non mi interessano ne’ l’uno ne’ l’altro preferisco estrarre i temi che potrebbero essere interessanti dal contesto del lavoro di un qualsiasi artefice particolare.
In particolar modo il tema critico che mi sembra evidente è la scala. Un po’ di tempo fa ho ascoltato una intervista a Philip Johnson, grande amico/nemico (a certi leivelli nessuno e’ amico di nessuno…) di Gehry (con il quale cenava una volta alla settimana in una specie di loggia massonica dell’architettura newyorkese alla quale presenziava persino Cesar Pelli, a certi livelli sono tutti amici), di Eisenman, di Koolhaas, di Zaha Hadid, nonche di Frank Stella e Richard Serra. In questa intervista fatta nella proprieta’ di Johnson nella suburbia incantata di New Canaan (dove persino Koolhaas in visita esclama “what a nice place!”), lo Zelig dell’architettura parla di una scultura di Stella che ha nella sua galleria e dice: “e’ bellissima, intricata, la guardo e mi immagino piccolo piccolo che cammino su questi pezzi di metallo lucente, posso passare sotto questo punto, salire qui sopra, sedermi in questo punto”. La descrive come uno spazio architettonico, ma anche come un paesaggio. Serra nelle sue sculture da sfogo a queste suggestioni creando spazi molto meno intricati di quelli miniaturizzati di Stella dove pero’ non sono richiesti sforzi di immaginazione e l’esperienza e’ sensoriale. Gehry coniuga il desiderio di Johnson di entrare nelle sculture di Stella con la scelta di Serra di rendere questo sogno possibile anche a costo di semplificare lo spettro di esperienze possibili. Nel lavoro di Gehry secondo me non c’e’ molto altro. La tecnica costruttiva, l’efficienza tecnica (come l’acustica della WDCH) o la funzionalita’ degli spazi sono compiti che qualsiasi Corporate Firm potrebbe adempiere altrettanto bene. Gehry ha successo perche quello che deve funzionare funziona, quello che deve svolgere un compito svolge quel compito quello che deve essere efficiente e’ efficiente come in un edificio di KPF o SOM. In piu’ ci aggiunge la sensibilità di dare forma al desiderio di abitare uno spazio immaginario, meglio se a una scala imponente. Il che fa anche in modo che i soldi in piu' che vengono spesi per un progetto di Gehry rispetto a uno di SOM rientrino in cassa con il "ritorno di immagine". Nel momento in cui una di queste due condizioni venisse meno finirebbe anche il clamore per un architetto per ora bravo a fare l'equilibrista, non certo a innovare.
Ora provate a prendere un foglio di carta, accartocciatelo per bene e poi provate a scrutarlo e immaginatevi a camminare sulle superfici inclinate, passare sotto gli aggetti, sedervi su uno scoglio che da sul vuoto di una caverna candida. Gehry, Stella, Serra… non vi servono.



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31/10/2003
Commento 448 relativo all'articolo:
Cin-Cin 'Maestro' Gehry! di Mariopaolo Fadda


Evidentemente il signor Fadda pensa di potersi permettere di insultare le persone che, come me, pensano non ci sia nessuna utilità nel dire cose del tipo:
"Il capolavoro gehriano conferma che la moderna cultura architettonica è pienamente immersa nelle problematiche del mondo contemporaneo, non si lascia irretire né dalle fughe a ritroso né da quelle in avanti. Non persegue rigidi formalismi e disdegna le forzature ideologiche."
Quello che scrivi cos'e' se non ideologia? Dici di "analizzare" l'impatto sul contesto ma evidentemente l'analisi (caratteristica tipica del pensiero filosofico statunitense, ma piu' del New England e poco consono ai surfer californiani) non sai neanche dove sta di casa:
"A parte il valore dell'opera in sé è interessante analizzare l'impatto con il contesto.
La competizione per la Hall viene tenuta nel 1988 e già da subito si punta ad un'opera di qualità che funzioni da stimolo per la rinascita di downtown che ha conosciuto un'inarrestabile declino sin dagli anni '30. L'effetto Bilbao è di là da venire ma la Disney Hall ha il potere di mettere in moto un processo che negli anni si rivelerà lungimirante. Nel 1990 viene realizzata la sinuosa scalinata di Bunker Hill opera di Lawrence Halprin, nel 1993 Pershing Square su progetto di Legorreta, nel 2003 la nuova cattedrale cattolica di Moneo ed è tuttora in costruzione la nuova sede del dipartimento dei trasporti della California, opera di Thom Mayne."
Questa la chiami analisi? Questo e' un elenco di opere che tu dici "innescheranno" (quindi non lo hanno innescato, quindi non e' un'analisi ma una previsione...) un processo che si rivelerà lungimirante... che cosa vuol dire questa frase? assolutamente niente, aria fritta che tu chiami analisi. Quale processo? Dici a priori che a posteriori dovra' essere considerato lungimirante (visto che solo a posteriori si potrebbe affermare una cosa del genere...)?
Dopo dici che l'impatto e' positivo perche ha riattivato l'interesse degli investitori (tu li chiami investitori ma in america ci sono quasi esclusivamente speculatori) immobiliari... come dire... Britney Spears e' meglio di Pollini perche vende di piu'. Tutte idiozie caro Fadda. La Spears e' monnezza tecnicamente e commercialmente perfetta come tutta l'architettura di "successo" dei nostri giorni. Pollini e' un altra cosa, e forse un Pollini... in architettura... oggi non c'e'.
Poi ti lanci nelle lodi del liberismo normativo, della libera imprenditorialità pianificatrice, pure follie.
"Anche lo SCI-Arc, l'istituto di architettura diretto da Moss, lo scorso anno si è trasferito da Venice a downtown, dopo aver scartato altre possibili sedi. E Moss ha giustificato la scelta proprio per il clima dinamico che anima ormai il cuore della città." Ti dimentichi di dire come proprio Moss stia asfissiando una scuola una volta vero luogo di libertà (si parla ormai di molti anni fa). Proprio Moss mi vai a citare, la figura piu' accentratrice, egocentrica, con smanie di controllo totale che ci sia... Ma forse Moss neanche lo conosci.
Riguardo alle citazioni dei giudizi (come mai citi solo quelli positivi? di negativi non ce ne sono stati????) sull'opera in questione, compi un'operazione di bassisimo marketing che ricorda molto il costume delle case editrici di appiccicare i giudizi positivi su un libro, dati da recensori "amici", in qarta di copertina. appena vedo una roba del genere so gia' che il libro forse e' meglio non comprarlo. Quella che fai non un'operazione critica. Tanto valeva che scrivessi che sta schifezza di Concert Hall a te piace tantissimo. Il che e' legittimo tanto quanto l'opinione di chi pensa che sia, appunto, una schifezza.
Per quanto concerne i tuoi patetici commenti riguardo a pisciate controvento etc ti consiglio di 1. fare delle ricerche sulle persone con cui a che fare prima di blaterare risposte che possono solo coprirti di ridicolo e 2. specialmente per le cose sui nanerottoli e i giganti, ti consiglio di vedere un analista che potrebbe sicuramente aiutarti con i tuoi evidenti complessi di inferiorità.
Detto questo, credo che antithesi dovrebbe includere le email degli autori degli articoli cosi come accade con gli autori dei commenti. Se infatti il sig. Fadda avrebbe potuto tranquillamente risparmiare le sue inutili sciocchezze scrivendomi in privato, cosa che ha inopportunamente deciso di non fare, io purtroppo ho dovuto rispondere pubblicamente e lo avrei volentieri evitato.
saluti,
enricogbotta


31/10/2003 . Mariopaolo Fadda risponde a EnricoGBotta:
Comprendo benissimo il disappunto del sig. Botta: è la reazione tipica di chi soffre di complessi di inferiorità e vuole che tutti siano o cani o porci. Come comprendo il suo livore ed il suo disprezzo per l’opera gehriana anche se una visitina all’opera prima di sputare sentenze non avrebbe guastato. Non sarebbe servita a fargli cambiare idea (gli italiani si sa sono tutti d’un pezzo) ma avrebbe, se non altro, dato credibilità alla sentenza che invece è stata emessa in contumacia. Se le riuscisse di farla eseguire, per la lapide le consiglio questo epitaffio “Qui giace un’opera pseudo-moderna concepita da un inetto architetto californiano e giustiziata da un’incompreso genio italico”. Dubito che quella sentenza vada mai in porto per cui esprimo sin da ora tutta la mia solidarietà al genio incompreso.

Comprendo anche il fastidio per le pressocchè unanimi recensioni positive dell’opera da parte dei critici di architettura della stampa americana ma “che ce voi fà” dicono a Roma. Per la prossima inaugurazione di un edificio di Gehry il sig. Botta potrebbe consigliare quei critici così poco allineati al suo credo di scrivere recensioni negative. Le voci contrarie? Quando si svolse la competizione internazionale gli ambientalisti protestarono perchè l’edificio avrebbe aumentato i consumi d’acqua e gli scarichi nelle fogne comunali. All’inaugurazione una dozzina di manifestanti a protestare contro l’opulenza borghese.

Diceva Wright “La creatività non solo è rara ma è sempre rischiosa”, il quale aggiungeva “Nessuna gelosia regge il confronto con la gelosia professionale”. Ma nel nostro caso mi pare che Gehry abbia ben poco da preoccuparsi della gelosia professionale del sig. Botta.
D’altra parte tra dieci, venti, cento anni la Disney Hall sarà ancora li a testimoniare la straordinaria creatività di Gehry ma chi mai si ricorderà delle sentenze del sig. Botta?

Gilmore, McGuire, Broad sono speculatori edilizi nella stessa misura in cui lo è il sig. Botta. Ne’ più, nè meno. Hanno però il torto di essere americani: quindi delinquenti innati. A quando il gulag per questi insaziabili pidocchi?

Postilla: Perchè mai dovrei scrivere le mie considerazioni e ricevere i commenti in privato? In privato solo gli amici, al largo gli invadenti esibizionisti.
La polemica finisce qui.


- Mariopaolo Fadda


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30/10/2003
Commento 447 relativo all'articolo:
Cin-Cin 'Maestro' Gehry! di Mariopaolo Fadda


Bella quest'ennesima disputa tra chi ingiustamente loda Gehry e chi ingiustamente lo disprezza. Gehry e' clamorosamente sopravalutato e solo in funzione di questa sopravalutazione si e' conquistato una schiera di detrattori accanitissimi. Di Gehry, al contrario di cio' che i piu' pensano, non c'e' proprio niente da dire... ne' di bene ne' di male. Certo e' che comincia ad annoiare e nel momento in cui la noia avra' il sopravvento il buon Gehry finira' nel dimenticatoio come le scarpette Prada della stagione passata. Sfido Mariopaolo a riconoscere 5 dettagli di 5 progetti di Gehry degli ultimi 5 anni... sono tutti uguali. "Superficialemente" uguali si dirà, certo uno sara' un centro ricerche un altro un museo... ma sono fatti con lo stampo... sono la stessa cosa. Questo basta, a mio modo di vedere, per mettere una bella lapide sul lavoro di Gehry, una pietra sopra il Guggenheim, il cuore in pace ai messianici adulatori e ai disfattisti detrattori, e cambiare discorso.


30/10/2003 . Mariopaolo Fadda risponde a EnricoGBotta:
Diamine siamo stracolmi di architetti che “superano” le avanguardie e non ce n’eravamo accorti. Abbiamo fior di spiriti critici che “leggono” le opere senza averle neanche viste perchè "capiscono" tutto per dono divino e non ce n’eravamo accorti. Con simile patrimonio umano e intellettuale dovremmo essere ai vertici della cultura mondiale e invece navighiamo nei bassifondi. Come mai? C’è evidentemente qualcosa che non quadra.
Zevi aveva provato per primo a spiegare il perchè "Assai piu’ dei loro colleghi stranieri, gli architetti italiani servono quasi esclusivamente il potere, la chiesa, il principe, l’oligarchia, lo stato, la classe egemone, la quale, chiusa in se stessa, si occupa del benessere popolare solo per quanto basta a difendersi dalle rivolte."
Un’altra spiegazione la troviamo nell’ignavia intellettuale e morale che gli impedisce semplicemente di capire cosa accade fuori dal loro miserabile, rinsecchito orticello.
Un’altra ancora è in quel vezzo goliardico di esibire sempre e comunque tutta la propria mediocrità soddisfatta e compiaciuta.
Se a tutto ciò aggiungiamo il gusto di sentirsi “fichi” nell’attaccare (di fa per dire) un grande i conti tornano.


Si sforzassero di studiare, capire, meditare l’opera gehriana? Nooooo! Loro ci pisciano sopra. Ma non hanno l’accortezza di farlo in favore di vento e a pisciare controvento ci si ritrova inzuppati.
André Malraux, commemorando Le Corbusier, disse che era la personificazione della più grande forza rivoluzionaria dell'architettura moderna "perché nessuno fu più a lungo e pazientemente insultato". Ora ci provano con l’architetto californiano ma per mettere la lapide sul suo lavoro dovranno attendere ancora qualche secolo.

Se questo è il livello dei detrattori il buon Gehry può dormire sonni tranquilli: questi nanerottoli non sarebbero in grado di salirgli sulle spalle neanche se si sdraiasse per terra.

Troverei ben più di 5 dettagli ma questi giochetti infantili di gente che non crede in nulla non mi interessano.

- Mariopaolo Fadda


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17/9/2003
Commento 408 relativo all'articolo:
Gli architetti sono degli autori di Sandro Lazier


Un articolo molto bello (ringrazio G. Antonietti per averlo segnalato e Antithesi per la sua pubblicazione). Purtroppo e' diffusa tra gli architetti l'abitudine di vedere con sospetto lo scambio di idee con gli altri: un atteggiamento auto-lesionista incomprensibile e anacronistico in una professione che vive e trae la sua ricchezza solo dall'interazione.


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25/8/2003
Commento 395 relativo all'articolo:
Ordini professionali contro l’architettura di Beniamino Rocca


Delle volte è veramente paradossale come si eviti di risolvere delle situazioni palesemente assurde quando la soluzione e’ gia’ bella e pronta.
Condivido l’insofferenza nei confronti degli ordini professionali (e pensare che neanche sono iscritto) e nei confronti degli ordini degli architetti in modo particolare. Sono assolutamente favorevole alla loro non obbligatorieta’ e d’accordo con il sorgere di libere associazioni.
Una riforma della professione pero’ non credo possa limitarsi alla riforma degli ordini, ma debba coinvolgere anche una riforma dei percorsi formativi (non solo l’universita’, ma anche l’apprendistato e la formazione permanente).
Allora un esempio “forse” valido e’ il modo in cui funziona la professione dell’architetto negli USA. 1. La NAAB (National Architectural Accreditation Board) detta le linee guida per l’elaborazione dei curricula universitari per i corsi professionalizzanti in architettura, che vengono elaborati in modo indipendente ma seguendo queste linee guida, dalle varie scuole, pubbliche e private. 2. Dopo il conseguimento di un titolo di studio accreditato dall’NAAB l’aspirante architetto deve svolgere un piano di apprendistato, di lunghezza variabile a seconda delle sue esperienze pregresse, per un periodo da uno a tre anni. L’NCARB ( National Council of Architectural Registration Boards) stabilisce le modalita’ secondo cui si svolgera’ l’apprendistato che deve necessariamente coprire una varieta’ di aree in modo che il candidato faccia esperienze su tutti gli aspetti della professione e che deve essere svolto presso professionisti abilitati. 3. L’NCARB notifica il raggiungimento dei credditi necessari per l’accesso all’esame di stato al candidato il quale puo’ quindi iscriversi all’esame nello stato dell’unione in cui intende svolgere l’attivita’ professionale. L’esame e’ diviso in tre sezioni amministrate con modalita’ differenti in momenti separati. Una volta superato l’esame il candidato riceve la licenza per praticare in qualita’ di architetto nello stato in cui e’ stata conseguita e in tutti gli stati in cui sia riconosciuta la “reciprocita” della licenza. Durante la sua carriera ogni architetto registrato e’ tenuto ad accumulare un certo numero di crediti formativi che si acquisiscono in vari modi (corsi di aggiornamento, attivita’ di insegnamento, prove di aver letto determinati articoli pubblicate su riviste di settore etc.), pena la perdita della licenza.

Va sottolineato che il titolo di studio non e' obbligatorio. In caso non si sia in possesso di un titolo di studio per accedere all'esame di stato sono necessari 10 anni di esperienza professionale.

Un architetto registrato e’ libero di iscriversi o meno all’American Institute of Architects, un’associazione libera non obbligatoria, che offre numerosi vantaggi ai propri iscritti (ad esempio offre contratti standard per regolare i rapporti tra architetto e consulenti, imprese, e clienti). Ma non ha nessun potere nello stabilire tariffe professionali massime o minime, ne’ ha, come ho detto, nessun carattere di obbligatorieta’.
Perche’ non prendere le cose che funzionano meglio e adottarle dopo averle magari ulteriormente migliorate (se possibile)?

http://www.ncarb.com/

http://www.naab.org/

http://www.labor.state.ny.us/business_ny/employer_responsibilities/olcny/architec.htm

http://www.op.nysed.gov/arch.htm


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14/8/2003
Commento 392 relativo all'articolo:
La qualità dell'architettura per legge di Sandro Lazier


Colgo l'occasione per segnalare un mio intervento su questo argomento apparso il 25 luglio 2003 su newitalianblood:
Mi sembra che le reazioni a questa legge siano inspiegabilmente titubanti. Ancora piu' inspiegabile e' il fatto che alcuni siano addirittura soddisfatti. Ma forse sono io a non aver capito le vere intenzioni dei ministri Urbani e Lunardi (si perche la leggere sulla qualita' architettonica e' un giano bifronte gia' alla nascita).
Forse ha ragione Beniamino Rocca che vede questa legge come "l'istituzionale presa d'atto da parte dello Stato Italiano del fallimento dell'insegnamento dell'architettura nelle università e del ruolo degli ordini professionali, a tutela del cittadino incompetente in architettura ed urbanistica.", io dal canto mio mi chiedo come si possa interpretarla in questo modo... e gioirne.
Fosse vero (cosa che non e') sarebbe una vera tragedia che a delle carenze educative e difronte al fallimento di un'intera categoria professionale si rispondesse con una oligarchia di nomina politica con il compito di dire cosa e' bello e cosa e' brutto. Una cosa, cioe', totalmente ridicola da qualsiasi parte la si guardi.
E' tuttavia completamente inutile soffermarsi su questioni di carattere filosofico e cercare di capire se stabilire cosa sia il bello e il brutto sia cosa possibile o meno, dal momento che il bello e il brutto, questo e' evidente (almeno per me), non sono cio' che veramente interessa ai promulgatori di questa legge.
Ricordiamoci che i governi Berlusconi sono stati (piu' volte) promotori di condoni edilizi, che non hanno mai avuto una politica di conservazione e preservazione del territorio, hanno avviato uno progressivo smantellamento del patrimonio immobiliare dello stato, hanno piu' volte avanzato la proposta di far gestire monumenti di interesse storico artistico ad aziende private... insomma, quale sia il rapporto del governo con il "belpaese" credo sia ormai assolutamente chiaro.
Poi ognuno puo' sempre interpretare le cose come meglio crede, anche vedere in una proposta di legge assurda, io dal canto mio ci vedo il tentativo di eliminare ogni possibile restistenza alle "opere pubbliche", guarda caso progettate, approvate ed eseguite, dal buon ministro Lunardi. Mi sembra chiaro, se chi stabilisce cos'e bello e cos'e' brutto sono io (o gente nominata da me) il mio grado di liberta' d'azione e' vastissimo.
Cosi' col brutto ci faccio quello che voglio (amplio, allargo, alzo, rado al suolo) e il bello, al massimo, lo sovvenziono... che ne so... Villa S. Martino di Arcore sara' sicuramente bella e magari sovvenzionata perche' e' giusto che il patrimonio architettonico italiano venga preservato... mentre, che so, qualche villa liberty che mi sta proprio all'imbocco del futuro tunnel di Mestre non e' che fosse proprio bella benche con la 89 fosse vincolata... quindi, siccome non e' bella, me la posso togliere dalle scatole.
Ho fatto due esempi di fantasia per cercare di far capire com'e' facile, una volta posti criteri non verificabili, usare le cose a proprio vantaggio in ogni circostanza. E il bello e' che molti "sostenitori" di questa legge hanno sempre parlato male delle soprintendenze, adesso davanti a una super-soprintendenza centralizzata di nomina politica e con potere assoluto non sanno far altro che essere contenti?
Ora, come fa, non un architetto, ma una persona civile a non essere chiaramente e fermamente contraria ad una legge simile?
saluti,
enricogbotta


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14/7/2003
Commento 370 relativo all'articolo:
Critica da allevamento di Mara Dolce


Non sono d'accordo con l'idea di critica, se l'ho compresa bene, che questo articolo presuppone. Mara Dolce a mio avviso investe la critica di ruoli che non le competono. Le accuse di disinteresse nei confronti della periferia urbana andrebbero rivolte agli architetti, non ai critici
La critica non ha nessun ruolo nel produrre soluzioni. Ovvio, molti si illudono che sia cosi, molti, soprattutto i critici stessi, credono o vogliono far credere che la critica serva a migliorare l'architettura. Non è così.
La critica serve solo ed esclusivamente a se stessa e al sistema editoriale che guadagna e fa guadagnare soldi. Una volta che si sia compreso questo, mi sembra evidente che non ci si possa stupire del fatto che la critica non abbia nella sua agenda scopi morali.
"Non c'è da sorprendersi allora, dello scollamento delle realtà tra quello che si vede facendo quattro passi in una periferia urbana e quello che si legge sulle riviste di architettura."
Infatti, non c'è da stupirsi. Come non ci si stupisce dello "scollamento" tra le sfilate di alta moda e il modo in cui la gente per strada si veste e cammina. Sono cose che per definizione non hanno nulla a che fare l'una con l'altra. Anzi mi stupirei di più se questo scollamento non ci fosse. La critica appositamente non parla della realtà perche se parlasse della realtà non interesserebbe a nessuno e questo sarebbe un vero disastro: libri invenduti sugli scaffali, conferenze deserte, siti senza clicks, master senza iscritti, un mucchio di gente a spasso.
Quindi preoccupiamoci piuttosto del fatto che esistano degli "architetti" a cui interessa ciò di cui parla la critica contemporanea, cioè di cose che hanno più a che fare con il gossip e l'haute couture piuttosto che con il risolvere problemi. Se gli interessa questa roba è probabile che agiscano di conseguenza, cioè producano, nel migliore dei casi, haute couture e lascino tutti i problemi come stanno, cioè irrisolti.
Giustamente si finisce sempre a parlare di università. Il problema (uno dei problemi dovrei dire) è che nel nostro paese mancano le definizioni o spesso ci se ne dimentica. Alla domanda cos'è l'architettura gli studenti del primo anno strabuzzerebbero gli occhi, quelli del terzo direbbero "un misto tra scienza e arte", quelli del quinto ti attaccherebbero un pistolotto fatto di citazioni strampalate prese da storici, critici, sociologi, neuropsichiatri etc: due ore di parole per non dire niente.
Ovviamente nessuno gli ha mai insegnato (ammesso che qualcuno la conosca) la definizione di architettura. Quella che hanno insegnato a me è la definizione di architettura che dà lo stato di New York:
http://www.op.nysed.gov/archguideintro.htm
"The practice of the profession of architecture is defined as rendering or offering to render services which require the application of the art, science, and aesthetics of design and construction of buildings, groups of buildings, including their components and appurtenances and the spaces around them wherein the safeguarding of life, health, property, and public welfare is concerned. The services include, but are not limited to consultation, evaluation, planning, the provision of preliminary studies, designs, construction documents, construction management, and the administration of construction contracts."

L'architettura è un servizio che va offerto nel rispetto e nella salvaguardia della vita, della salute, della proprietà e del benessere collettivo.
Si delinea allora una generazione di critici da "allevamento" intorpiditi dal benessere da residenza-centro-storico, con pose da intellettuali scontenti e da avanguardia, ai quali i lacci dell'empirismo stanno troppo stretti. E' una critica "bene" che si occupa di architettura da salotto, teorizzata, parlata, metaforizzata, sognata, proiettata, futuribilizzata,che non ha tempo per la realtà.

Insisto, la critica è da "allevamento" per definizione.
enricogbotta
http://www.quantumarchitecture.net


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22/5/2003
Commento 348 relativo all'articolo:
Critica e web: le proposte di Luigi Centola di la Redazione


Prendo spunto dalle proposte di Luigi, che trovo tutte molto sensate, per fare alcune riflessioni.
Riguardo sulle webzines italiane di architettura ho già espresso il mio punto di vista su NIB http://www.newitalianblood.com/testi/testo120.html). Qui vorrei sollevare una questione di fondo: non e’ forse giunto il momento di ripensare completamente l’idea di rivista on-line in termini innovativi? Infondo è quello che newitalianblood ha cercato e sta cercando di fare (Luigi mi correggerà se sbaglio), ma visto che questo tema si è presentato nuovamente con forza, forse è il caso di porsi obbiettivi ancor più ambiziosi.
Innanzitutto il panorama dei siti di architettura in Italia è eccessivamente frammentario, eccessivamente perché questa frammentarietà non è giustificata da un’effettiva diversificazione né del contenuto, né della forma, né tanto meno dell’approccio generale ai temi dell’architettura.
Allo stesso tempo, e proprio per questi motivi, non c’è un reale pluralismo e il rischio è quello di contribuire al formarsi di un sistema chiuso e auto-referenziale.
La direzione verso cui ci si deve muovere a mio avviso è quella che porta verso i due estremi, e cioè da un lato verso la concentrazione degli strumenti in un vero portale acritico, auto-organizzatensi e personalizzabile; dall’altro verso l’atomizzazione della presenza web individuale.
Benissimo, la mia proposta è di azzerare tutte le “riviste” web, chiamarle per quello che di fatto sono, cioè iniziative individuali (con questo non intendo “di un individuo”, ma caratterizzate da limiti di espandibilità), e far confluire tutto in un “sito unico” che sia in grado in questo modo di catalizzare l’interezza del contenuto di architettura presente sul web per quel che riguarda teoria e progetti.
Questo “sito unico” ovviamente non avrebbe fini di lucro, sarebbe completamente acritico, sarebbe fondamentalmente un puro “mezzo” all’interno del quale possono aver luogo tutte le iniziative particolari di cui Luigi parla, che si svolgerebbero tutte in maniera democratica e trasparente. Non avrebbe gerarchie (direttore, vicedirettore) che sono, nella maggior parte dei casi, puramente fittizie e comunque insensate.
Un “sito unico” sarebbe l’unico strumento a mio avviso in grado di innescare un vero processo di partecipazione attiva che sul web italiano non esiste. Nonostante le statistiche che i “direttori” delle webzine sciorinano ogni qualvolta se ne presenta l’occasione e’ un fatto che gli attori su questo palcoscenico sono pochi e sono sempre gli stessi. Io imputo questo alla frammentarietà e alla mancanza di “massa critica” nonché di diversificazione biologica tra le varie proposte web.
Ognuno è e deve essere un punto di emissione. Bisogna assolutamente promuovere la cultura della partecipazione attiva in prima persona, della condivisione. Questo ovviamente è un invito che dirigo principalmente a chi ha la possibilità di lavorare con gli studenti, visto che è nella scuola dove si deve in primo luogo abituare i giovani alla partecipazione attiva. E’ un fatto però che ci vogliano anche delle condizioni locali adeguate, cioè i siti devono essere attrezzati con gli strumenti giusti in modo da favorire la partecipazione.
Un “sito unico” dovrebbe quindi avere un altissimo grado di interattività e di personalizzazione, sarebbe quindi principalmente uno sforzo tecnico più che uno sforzo critico. Una volta avviato però vivrebbe di vita propria.
Beh che ne dite? Una bella utopia? Non credo in realtà è una cosa tecnicamente fattibilissima e per di più molte delle caratteristiche e di questo “sito unico” non sono mie invenzioni, sono i risultati di numerose ricerche sull’evoluzione di siti internet condotte negli ultimi anni… ma lo stesso non funzionerà mai. Perché?
Molto semplice: l’età, la carriera, i titoli di studio, le amicizie, l’autorevolezza, l’autorità, le gerarchie, i gemellaggi, i favori fatti e ricevuti etc. etc. non conterebbero più niente. “Questo sarebbe un bene…” direte voi, e invece no, è un male. E’ il peggiore dei mali per chi ha lottato anni per guadagnarsi i suoi privilegi e adesso cosa volete fare buttare tutto alle ortiche? Eh si perché potrebbe anche succedere che un ordinario di disegno dopo aver pubblicato un suo saggio su questo “sito unico” venga contraddetto da un perfetto nessuno, e magari la maggioranza degli altri perfetti nessuno di a questo signor X manforte. E a quel punto il povero professore che si è sudato la sua cattedra dovrebbe accettare la figuraccia? No semplicemente ritira il suo saggio e sul sito unico non ci mette più piede, in più farà di tutto per screditarlo e dire che è una buffonata “è assurdo l’opinione di un signor X valga tanto quanto la mia”.
Siccome i professori e comunque chi ha un po’ di potere è gia in partenza molto più furbo, in certe situazioni neanche ci si fa a mettere. E quindi il “sito unico” non va da nessuna parte. Perché tra l’altro non fa comodo neanche al direttore della webzine digitale perché, che diamine, si lavorerà pur per qualcosa… “Io nel mio orto son direttore, nel “sito unico” sono uno dei tanti, chi me lo fa fare? Se il mio orto va bene ci guadagno io, se va bene il “sito unico” ci guadagnano gli altri, che assurdità”.
Però potrebbe succedere l’impossibile e il “sito unico”, che è stato fatto bene, che è veramente acritico, che è veramente interattivo, diventa punto di riferimento e il traffico, si sa, fa cambiare idea a molti.
Insomma forse è un’utopia, ma infondo google esiste.


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13/5/2003
Commento 338 relativo all'articolo:
Coppe e medaglie: a Cesare quel che è di Cesare di Ugo Rosa


Ci riprovo...
Prendo atto che Marco Brizzi continua a tacere. E prendo atto che Ugo Rosa persiste nel non comprendere una posizione che pensavo di aver espresso chiaramente. Vediamo se riesco a essere ancora piu' chiaro.
E' vero, esiste una parte attiva della cultura architettonica italiana che e' stata ostracizzata dalla cosiddetta "accademia". E' vero' che per mantenere il suo potere l'accademia ha usato tutti i mezzi.
Gli esclusi si sono organizzati su internet (questo spiega perche gli esponenti dell'accademia su internet non ci sono: molto semplicemente non hanno BISOGNO di esserci), e molti di loro hanno opportunisticamente cavalcato il digitale (che ha acquistato una rilevanza commerciale, cioe' i libri e le riviste VENDONO se parlano di questo argomento) per cercare di sottrarsi al giogo dell'accademia.
Bene, oggi siamo ad uno stadio nello sviluppo di questa fazione di ex-reietti dove essi gia' si sono conquistati molti dei privilegi prima ad esclusivo godimento degli accademici: inviti a conferenze, presenza capillare nelle giurie di concorsi, presenza organizzata nelle scuole.
E cosa sta succedendo? Beh succede che cominciano ad emergere anche in queste fila molti dei comportamenti tipici dell'accademia: la chiusura, l'autoreferenzialita', l'esclusione degli "altri". Nonche' comportamenti discutibili, scambi di favori, e poi sterilita' delle posizioni culturali, provincialismo etc. etc.
Ora, non conosco quali motivi portino Ugo Rosa a una tale animosita' nei confronti di Nicolin e/o di cio' che rappresenta, avra' i suoi motivi. Se i motivi sono quelli che ha indicato nei suoi interventi allora, in quel caso, dovrebbe, a maggior ragione, indignarsi del comportamento di chi da oppresso diventa oppressore.
saluti


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17/4/2003
Commento 311 relativo all'articolo:
Greg Lynn: idee fresche, idee dinamiche di Paolo GL Ferrara


ah ancora due cose...
1. di pessimo gusto piazzare una foto di Lynn in compagnia di Antonino Saggio, era proprio necessario includere il secondo tanto per far vedere che c'era?
2. la citazione con pacca sulla spalla a Diego Caramma (che ho consociuto alla biennale a braccetto con Prestinenza) e' il solito scambio di effusioni tra "amichetti", tipico della critica italiana. Una cosa assolutamente inutile, fuori contesto, gratuita e decisamente fastidiosa.
E' possibile che nessuno riesca a fare il suo lavoro seriamente senza dover necessariame fare gruppetto "io sto con questi e contro di questi" e spacciare per roba assolutamente imperdibile il libretto, la rivistina, l'articoletto del nostro amichetto di turno?


17/4/2003 . Paolo GL Ferrara risponde a EnricoGBotta:
Caro Botta, va benissimo che tu non sia d'accordo su quanto io ho apprezzato Lynn, ma l'insulto gratuito te lo rimando indietro.

1. Saggo non ha bisogno delle mie foto per fare vedere che c'era, soprattutto perchè non gli interessano queste cose (presenzialismi). Saggio, appunto, "c'era" ed è stato importante che ci fosse. E se ci fossi stato tu avresti capito il perchè, dopo avere ascoltato il suo intervento critico su Lynn.
2-3. Pacche sulle spalle a Caramma? Suvvia, diventi davvero patetico con la tua assoluta boria di onnipotente uomo di cultura che tutto sa e che addita tutti quali incapaci, leccaculo etc. Caramma l'ho conosciuto a Ferrara e mi ha convinto la presentazione che ha fatto del suo lavoro. Che poi lui sia "amichetto" di Prestinenza ed io "amichetto" di Saggio...che? ti dà fastidio...? sarai mica "geloso"?! A parte che non siamo "amichetti", non credi che rischi di sprecare le tue potenzialità in queste cose strupidissime? A me non interessa chi frequenti e di chi sei amico ma solo quello che hai da dire in campo architettonico. La morale a me non la fai, sia chiaro. Dovresti conoscere la mia storia e le mie vicissitudini e poi, forse, ma molto improbabile, potresti fare degli appunti. Vedi carissimo, io non ho mai chiesto niente a nessuno e sfido chiunque a dire il contrario. Comunque sia, cerca di essere un pò meno drastico nei giudizi sulle persone: non certo per diventare adulatore ma, quantomeno, per non diventare ridicolo.
Peccato che la tua battaglia non si limiti ai contenuti (a volte assolutamente ineccepibili) ma sfoci nel pettegolezzo senza sostanza. Peccato.
- Paolo GL Ferrara


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17/4/2003
Commento 310 relativo all'articolo:
Greg Lynn: idee fresche, idee dinamiche di Paolo GL Ferrara


Di Greg Lynn si fa un gran parlare da molto tempo. Evito di dilungarmi in risposte punto per punto alle posizioni espresse da Paolo Ferrara nel suo articolo, ma invito (ed e’ questo un invito che estendo a tutti i critici che scrivono e parlano di architettura) ad utilizzare della documentazione grafica chiara a sostegno delle proprie tesi (cioe’ non immagini di viste prospettiche taroccate ma delle sane piante e sezioni, o dei VR realistici se si preferiscono strumenti piu’ intuitivi per chi non sa leggere i progetti). Cosi’ facendo sarebbe molto facile capire (ma forse e’ proprio questo cio’ che si vuole evitare) che un conto sono le belle parole e le piacevoli conferenze, un altro sono i fatti.

E i fatti sono che la “embrionic house” e’ una bolla senza architettura e che il progetto del WTC di United Architects e’ un progetto degno di un approccio alla Kohn Pedersen e Fox. Non ci credete? Guardatevi le piante e confrontatele con quelle di un edificio per uffici sviluppato da una qualsiasi societa’ di progettazione… se trovate delle differenze e’ solo perche Kohn Pedersen e Fox sono piu’ bravi a fare floor layouts efficenti e fanno meno errori. Nel progetto di UA, a parte l’immagine esterna (per altro discutibile) non c’e’ nulla, tanto meno una qualsivoglia innovazione “spaziale”.

Dal punto di vista invece della ricerca pura, delle “idee” che stanno dietro, beh anche li siamo messi molto bene… Greg Lynn e’ molto giovane anagraficamente ma molto vecchio per gli obbiettivi che si pone… cioe’ cerca di fare quello che faceva una certa corrente artistica degli anni ’60 pero’ quaranta anni dopo. Molto piu’ "fresco" (ma sono convinto che nessuno ne ha mai sentito parlare perche' non fa notizia come Greg Lynn) la ricerca di un vecchio signore come John Johansen[1], maestro del moderno “creativo” ora concentrato su un’idea di architettura autogenerata basata sulle nanotecnologie e’ sulla codifica di DNA costruttivi. Persone come Bill Katavolos e Heresh Lalvani, molto piu’ maturi di Greg Lynn, sono molto piu’ radicali e “freschi” nelle loro idee sull’architettura.

Greg Lynn e’ l’ennesimo esempio del dominio culturale delle accademie americane che noi da bravi caproni ci buttiamo giu’ dal gargarozzo pensando che se parliamo di Greg Lynn automaticamente entriamo nel gotha della ricerca architettonica mondiale. Tutte balle, come quelle che questi personaggi raccontano nelle “piacevoli conferenze” che atenei di provincia e irrilevanti pagano a peso d’oro. L’ingenuita’ della critica di architettura italiana mi lascia sempre piu’ perplesso.

A Milano da diversi anni si tiene una conferenza chiamata “Generative Art”[2] alla quale ho avuto quest’anno il piacere di partecipare come relatore, dove si e’ parlato in modo serio di temi come l’utilizzo del computer, l’elaborazione di algoritmi genetici, di reti neurali e quant’altro nell’ambito del processo creativo (architettura, pittura, musica, scultura, design industriale…) beh di quella che e’ una iniziativa scientifica, che ha raccolto interventi di relatori da tutto il mondo, tra cui alcuni dello spessore di John Gero, Michael Leyton e John Frazer, non si e’ detto nulla ne' su antiTheSi, ne’ su Arch’it , ne' da parte di nessuno che dice di essere cosi interessao a questi temi… appena arriva una patacca come Greg Lynn a Ferrara tutti a scrivere articoli… beh, mi sembra che questo la dica molto lunga sul livello su cui viaggia la critica in Italia… roba da Maria de Filippi e Maurizio Costanzo...


1. http://www.generativeart.com

2. http://www.papress.com/forthcoming.html

“Nanoarchitecture presents eleven of John Johansen's most inspired visions. A floating conference center, an apartment building that sprouts form the earth and grows on its own, and a levitating auditorium all demonstrate Johansen's capricious yet thought-provoking ideas. Taken together, they offer an antidote to much of today's form-driven practice.”

http://www.quantumarchitecture.net



17/4/2003 . Paolo GL Ferrara risponde a EnricoGBotta:
Per Botta tutto, tranne quello che dice lui, è una "patacca". Bene, registriamo senza scossoni l'ennesimo commento del vero ed unico profeta dell'architettura. Solo un'annotazione: ad antiTHeSi non interessa essere nel gotha della critica: lo VUOI CAPIRE O NO?!!
A differenza tua, io ascolto tutto e tutti e da tutto e tutti cerco d'imparare, il che non significa essere d'accordo. Tu un pò d'umiltà..no...vero? Conoscevo poco Lynn e ho voluto ascoltare quanto aveva da dire. Per quanto riguarda "Generative", ti avevo chiesto di scrivere tu, ricordi? Mi dovevi mandare parte della tua ricerca per pubblicarla...o mi sbaglio?
A proposito di Maria De Filippi: vacci. Tu sarai sicuramente "famoso" un giorno. Non è quello a cui aspiri? Bene, a me proprio non interessa.

- Paolo GL Ferrara


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5/3/2003
Commento 327 relativo all'articolo:
Gehry, Hadid e Libeskind presi...Di Petta di Paolo GL Ferrara


Inannzi tutto si tratta di newitalianblood.com e non .it, credo sia una correzzione doverosa per un sito che merita dei link corretti.
In secondo luogo noto con dispiacere che nessuno ha colto il mio invito a parlare di fatti. Ne Di Petta, ne' Ferrara ne' Torselli ne' D'Organ parlano di fatti... parlano di parole e per di piu' si azzuffano su scemenze.
Non si poteva lasciare l'articolo su NIB nel dimenticatoio? No, Paolo Ferrara lo va a riesumare e lancia una crociata contro il povero Di Petta colpevole di aver espresso un'opinione.
Ho proprio ora finito di tradurre un articolo di Eli Ettia sulle bugie di Libeskind. Questo articolo e' esemplare di come vada condotta una critica architetonica... cioe' mostrando delle prove. E queste prove dimostrano che Libeskind racconta un sacco di storie.
Ed e' basandosi su queste prove che dico che Libeskind e il suo progetto per il WTC non vanno presi sul serio. Ora Ferrara non sara' sicuramente d'accordo, il che va benissimo... che porti le prove a sostegno delle sue idee non solo parole.
ecco il link all'articolo "Le Nove Bugie di Daniel Libeskind" su newitalianblood.com
http://www.newitalianblood.com/testi/testo141.html
saluti,


3/5/2003 . Paolo GL Ferrara risponde a EnricoGBotta:
Ogni tanto litigo per scemenze anche con le mie fidanzate, il che significa che è un vizio congenito: chiedo scusa (a Botta e, soprattutto, alle fidanzate...).
Il più è che, così come Botta desidera che i suoi articolo su newitalianblood.com (altra scusa che faccio per avere confuso .it con .com) vengano letti, altrettanto desidera Di Petta.
Dire le cose che ha detto Di Petta non significa dire scemenze: è questo il problema. Difatti la linea di pensiero di Di Petta ha una grande percentuale di seguito, soprattutto nelle scuole di architettura.
Portare le prove? Su Libeskind ho già detto quanto dovevo dire nell'articolo "L'architettura va alla guerra: Fuksas diserta".
Se poi Botta desidera leggere qualcos'altro di mio su Libeskind, sempre su antithesi (con il motore di ricerca) vada a rintracciare "Il dubbio Libeskind".
Forse se ne toglierà qualcuno su di me.
- Paolo GL Ferrara


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5/3/2003
Commento 326 relativo all'articolo:
Medaglia d'oro? di Mara Dolce


Ma quale attacco personale. Vediamo di cogliere il senso di queste denuncie. E il senso e' che e' l'ora di finirla di inventarsi delle riviste di cui fare i direttori, in modo da poter inventarsi degli articoli da scrivere su dei geni dell'architettura inventati che cosi poi possono partecipare ai concorsi inventati ad hoc con giurie che inventano motivazioni per giustificare le loro scelte e che determinano vincitori i quali vengono invitati a manifestazioni inventate apposta per invitarli e poter inventare tutti insieme delle nuove invenzioni in cui non ci sia, possibilemente, nulla che rimandi a un fatto concreto.

Quando si sente in giro che il lavoro bisogna inventarselo credo vogliano dire proprio questo. Inventatevi direttori di una rivista e vedrete che qualcuno si inventera' pure un premio da darvi.




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1/3/2003
Commento 293 relativo all'articolo:
L'architettura va alla guerra. Fuksas diserta di Paolo G.L. Ferrara


"Libeskind costruirà il nuovo World Trade Center : il suo progetto ha prevalso su quello del Gruppo Think. "
Libeskind non costruira' il nuovo WTC. Costruira' molte altre cose grazie alla pubblicita' che si e' fatto con questo concorso... quindi mettiamoci il cuore in pace tutti, sia chi pensa che la sua proposta sia un meraviglioso capolavoro e sia chi invece e' convinto che si tratti di una boiata.
L'affermazione di Fuksas sara' anche pretestuosa ma e' vera. Sottolinea una caratteristica comune a tutte le proposte (tranne la seconda classificata, che di fatti NON ha vinto), e cioe' il conformismo mascherato da trasgressione.
"Un qualsiasi proprietario di un terreno agricolo non rinuncerà mai al massimo della cubatura possibile per costruire; e non lo farà mai neanche il proprietario di un terreno edificabile (figuriamoci se ci rinuncia chi è proprietario di sei ettari e più nella down town di New York)."
Beh forse non ti ricordi che il buon vecchio Mies (il cui tipo "High Rise" ha avuto tanto successo in USA proprio per l'ottimizzazione dello sfruttamento di square footage consentito) ha buttato al vento centinaia e centinaia di piedi quadri di superficie commerciale su Park Avenue... Mies ha avuto il fegato di farlo, Libeskind e compagnia cantante questo coraggio non ce l'hanno avuto.
Riguardo invece ai "significati" credo di non poter che essere daccordo con Fuksas. Certi "simbolismi" da kabalah di bassa lega sono puerili, non aggiungono nulla al progetto e tolgono molto a chi con la faccia seria li sciorina come fossero cose significative. Ovvio che agli americani queste buffonate piacciono, ma parlare di "significati" quando in realta' si tratta di un mero fatto numerico (1776 scalini o quello che' etc) o semplicistiche combinazioni e' grottesco.
Libeskind e' sempre piu' una delusione, altro che "Libeskind è un architetto che ci aiuta a misurarci con le irragionevolezze del mondo e della storia. L'architettura, arte costruttiva, solida, razionale e certa per definizione, ha incontrato raramente nella sua storia questa deriva tormentata, difficile e crudele". Di Libeskind e del suo tormento faccio volentieri a meno.



31/1/2003
Commento 272 relativo all'articolo:
Escusatio non petita... di Paolo G.L. Ferrara


IL POTERE LOGORA CHI LO CERCA
Mi sembra che gli sviluppi della vicenda del master di architettura digitale organizzato dall’In-Arch stiano portando la discussione verso un tema che sta diventando a mio avviso sempre più importante: cioè la costruzione (o sarebbe meglio dire i tentativi di costruzione) di nuove nicchie di potere.
I centri “storici” del potere (e con questo intendo la capacità di influire sul successo o meno di individui o indirizzi culturali) sono sempre state le università. Operando una semplificazione, si può dire che però che con l’avvento di internet la centralità del potere accademico si sia incrinata.
Dal momento che uno dei principali strumenti per il mantenimento del potere universitario è sempre stato l’accesso alla stampa ed alle case editrici, è evidente che il nascere di internet ha reso molto più facile per chi fosse escluso da tale meccanismo di costruirsi canali alternativi.
E’ stata questa la storia di architettura.it, ma anche di casa’emmerda rivista che lanciai nel ’96 e rimase on-line per brevissimo tempo, e di tutte quelle che sono venute dopo. Il problema all’inizio (parlo degli anni ’95-’96) era il contenuto, cioè fondamentalmente come fare per differenziarsi dalle riviste tradizionali (casa’emmerda fa chiaramente il verso a casabella di cui voleva essere una rilettura parodistica). L’atteggiamento all’epoca era principalmente polemico (es. La Cucina di Harpo, rubrica su arch’it). Mancava però un contenuto in grado di dare maggior indipendenza ed eliminare il ruolo di referente giocato dalle riviste su carta.
Ecco che arriva l’architettura digitale, il contenuto che mancava. Giustamente incommensurabile con gli schemi critici adottati normalmente, metteva al riparo da qualsiasi possibilità di confronto. A quel punto si aveva un mezzo non controllato dal potere accademico, cioè internet, ed un contenuto incommensurabile, cioè sicuro, cioè l’architettura digitale (qualsiasi cosa si intenda con questo termine). Mancava solo una cosa il pubblico, il consenso.
Pubblico che comincia ad arrivare alla fine degli anni novanta a fronte del successo internazionale di “architetti digitali” come Greg Lynn, Asymptote, Van Berkel, Oosterhuis, Nox, MVDRV, etc., e la rilevanza di scuole come Architetcural Association e Columbia University che hanno spinto fortemente (e cissà perché) il digitale.
Questo nuovo sistema di potere, ancora in fasce sia chiaro, si è ormai configurato agli occhi dei più come qualcosa di decisamente diverso dalla cosiddetta accademia. Forse a causa della sua “freschezza” si è portati ad accreditargli simpatia e a pensare che infondo sia il bene, libero e democratico, contro il male, esclusivo e autoritario, dei professori universitari.
In realtà non si tratta di cose diverse, e il caso del master dell’InArch (ma vorrei ricordare che questo non è il primo caso di iniziative discutibili di cui l’InArch si rende protagonista, è di qualche anno fa infatti l’idea di pubblicare progetti su internet previo, ovviamente, pagamento. Iniziativa chiamata “progetti in rete”, su cui si sviluppò una bella discussione sul gruppo di discussione it.arti.architettura, reperibile su google groups), questa vicenda dicevo, giustapposta allo scambio di corrispondenza tra me e Roberto Silvestri riguardo ad una certa sua condotta scorretta, rivela come in realtà entrambi gli atteggiamenti, così apparentemente diversi, abbiano finalità identiche: costituire un sistema di potere tale da poter determinare il successo di un individuo o di un indirizzo culturale al fine di sfruttarne possibili vantaggi economici. Tutto qui.
Nel caso di Silvestri il potere in gioco è il più classico dei poteri accademici italiani e cioè Paolo Portoghesi, e della sua estensione fisica Marco Casamonti.
Portoghesi e Casamonti hanno una (se non ho perso il conto) rivista ciascuno, sono professori all’università. Questo gli ha permesso di sviluppare una rete di “amici” che fanno i turni in giurie di concorso, organizzano mostre o master a pagamento in cui invitano altri “amici” e a cui la gente si iscrive abbindolata dalla fama dei nomi presenti (fama in realtà auto-attribuita da critiche favorevoli che gli amici si scambiano a vicenda, o premi che gli amici si attribuiscono in occasioni di biennali o quant’altro, esemplare l’inclusione di Paolo Zermani da parte di Paolo Portoghesi nel suo libro intitolato emblematicamente “I Grandi Architetti del Novecento”).
In alcune occasioni questo scambio di favori potrebbe uscire dalla legalità, ma è evidentemente un rischio che vale la pena correre. Conseguenza di questo rilassamento dei costumi, chiaramente mutuato dai ben più sofisticati meccanismi della politica o della massoneria, è la totale inosservanza di livelli anche solo minimi di decoro e di correttezza.
Correttezza che se non fosse mancata avrebbe sicuramente fatto si che l’architetto Roberto Silvestri, vincitore con Marco Casamonti di uno dei dieci premi assegnati dalla giuria presieduta da Paolo Portoghesi al concorso per il rione Rinascimento, avrebbe immediatamente chiamato la redazione del Secolo XIX e avrebbe chiesto la correzione del titolo di un articolo si riferiva al risultato del concorso in questi termini: “Un architetto genovese trentasettenne firma il progetto di un quartiere a Roma”. Titolo palesemente falso.
Veniamo all’InArch. Beh in questo caso i protagonisti sono i fautori del sistema “opposto” a quello appena descritto. Marco Brizzi è il direttore di architettura.it e animatore del dibattito sul digitale (anche se non ha mai cambiato il sottotitolo della sua testata da “rivista digitale di architettura” a “rivista di architettura digitale”). Maria Luisa Palumbo è un giovane critico (i giovani, gli studenti di architettura, sono ovviamente quelli che costituisco lo zoccolo duro del consenso sul digitale e quindi meritano un occhio di riguardo) che si concentra sui temi della rivoluzione informatica in architettura, un tema ovviamente estraneo all’accademia. L’InArch è per statuto una organizzazione estranea all’accademia, quindi ben si sposa con Brizzi e architettura.it e la dott.ssa Palumbo.
Bene, gli strumenti ci sono, i contenuti ci sono, il pubblico c’e’ come è possibile far “fruttare” tutto questo? Ecco il lampo di genio: un bel master a 4000 euro, qualcuno che ci casca ci sarà, c’è gente che si fa fregare da Portoghesi vuoi che non ci sia qualcuno che si fa fregare dall’InArch…?
Perché dico “farsi fregare”? Beh perché il master dell’InArch non ha contenuti che abbiano una qualsivoglia rilevanza… mi spiego.
Io invento una nuova disciplina l’”architettura bottosa”, siccome l’ho inventata io sono anche il massimo esperto vivente di “architettura bottosa”, non vado a nessun congresso internazionale, non faccio alcuna pubblicazione con dei referee su riviste internazionali, non ho neanche un dottorato, ne tantomento un’abilitazione professionale, ma faccio un bel master in “architettura bottosa”.
Normalmente questo risulterebbe in una totale perdita di tempo da parte mia perché nessuno si iscriverebbe mai, a meno che non ci sia una combriccola di amici che fanno un giornalino che cominciano a dire che l’architettura bottosa è eccezionale, poi siccome sono stato abbastanza furbo da essere assolutamente vago su cosa “bottoso” voglia dire, posso anche dire che alla Columbia infondo sono un po’ bottosi e anche in Olanda. Ed ecco che qualche deficiente che mi da 4000 euro per beccarsi un titolo in architettura bottosa lo trovo.
Guarda caso le persone cambiano (a volte no, come vedremo poco più avanti) ma i metodi sono gli stessi. I master esosi in cui si invitano gli amici sono uguali sia nel sistema “accademico” sia in quello digitale (Masp, Master di Progettazione dello Spazio Pubblico e master In Arch). L’idea di costruire un potere editoriale controllato da amici è uguale, in un caso sono riviste di carta nell’altro di bit, ma le tecniche sono le stesse: costruire un sistema incommensurabile di riferimenti culturali (Le Corbusier, Mies, Tafuri da una parte Wright, Bucky Fuller, Sharoun, Zevi dall’alltra)e spingere chi più ci fa comodo (Casamonti, Zermani, etc da una parte, dall’altra Ian+, ma0, cliostraat, nicole fvr, chi e quant’altro faccia comodo all’occasione).
Ci sono degli anelli di giunzione? Luigi Prestinenza Puglisi è presente sia nel master sull’architettura digitale organizzato dall’InArch sia nel Masp organizzato da Casamonti (dove ovviamente è stato invitato anche Portoghesi). Come mai?
Evidentemente Puglisi è un prodotto che vende. Un prodotto che lui è stato abile a costruire con una scelta occulta del target (studenti universitari scontenti dell’insegnamento “classico” ma anche ignari architetti dotati di email che ricevono il suo spam ricorrente, ma evidentemente sa tutto sul digitale ed internet tranne un minimo di netiquette) e di temi. Il fatto che Puglisi si trovi in due contesti così apparentemente diversi la dice lunga su quanto invece ci sia in comune.
Cosa è comune ad entrambi i contesti? beh, il desiderio irrefrenabile di un po’ di fama, un po’ di potere e un po’ di soldi. Al che non capisco perché non si diano alla TV invece che sprecare il loro tempo in faccende che non li riguardano.
Anche se, ora che ci penso… ritiro tutto quello che ho detto.
(Sai mai che se dico che invece sono bravi mi invitino anche a me* a un paio di migliaia di euro me li porto a casa pure io?)

saluti,
enricogbotta.com



26/12/2002
Commento 248 relativo all'articolo:
E se il Master digitale In/arch andasse on-line? di Paolo G.L. Ferrara


Paolo Ferrara scrive:
"Di contro, antiTHeSi s'imegna sin da ora a seguire da vicino la didattica del Master, chiedendo a tutti i docenti coinvolti di potere pubblicare gli estratti delle lezioni che terranno nel suo ambito, mettendole a disposizione di tutti."
Beh una proposta senz'altro provocatoria... ma non credo che sarebbe molto corretto nei confronti di quegli studenti che pagando renderebbero il master possibile (visto che da quello che dicono gli organizzatori nessuno ci guadagnerebbe niente da questa iniziativa).
Non sarebbe una cosa giusta insomma. Chi ritiene i contenuti del master di suo interesse e' giusto che si iscriva e paghi il dovuto, non ci vedrei nulla di sbagliato o deplorevole. anche riguardo alle borse di studio non sono per nulla integralista. La scelta di avere o meno borse di studio per "meritevoli" e' una scelta che spetta agli organizzatori e non e' dovuta in nessun caso.
"E se non sarà possibile mettere on line le lezioni,[...] "
e ovviamente non sara' possibile, ci mancherebbe altro...
"Successivamente, sempre secondo la volontà dei singoli, chiederemo ai tirocinanti presso i vari Studi Professionali, di relazionare i lettori di antiTHeSi sullo svolgimento del tirocinio, di darci le loro impressioni, e come e quanto ne saranno soddisfatti"
Questo mi sembra senz'altro un'idea interessante e spero che verra' realizzata.
Vorrei dire anche due parole sulla discussione sul digitale che antithesi sta promuovendo. L'architettura digitale, come la definizione indefinita (che finora solo Furio Barzon ha azzardato, gli va dato atto del suo coraggio) chiaramente dimostra, non esiste, e' solo uno slogan senza articolazione.
Diro' di piu', il digitale appartiene ad un paradigma vecchio. "Being digital" di Negroponte e' stato ampliamente responsabile di "depistaggi" sul digitale (certo non ad opera dell'autore ma da chi l'ha letto in modo superficiale o opportunistico).
Se ci limiatiamo a cio' che digitale veramente significa ci accorgiamo che esso descrive un sistema di rappresentazione astratta dell'informazione limitato all'alternaza di stati 0 e 1. I processi di computazione digitale (cioe' il modo in cui lavorano i processori attualmente presenti nei nostri computer) sono necessariamente lineari.
La computazione parallela (cioe' molto semplicemente il fatto che gli stati di 0 e 1 non si escludano a vicenda) e' praticamente il contario del digitale e forse postula un modo di pensare piu' interessante per gli architetti. Se ci si limita alle manifestazioni macroscopiche come internet, o le tecnologie svillupate per i software 3D o quant'altro Furio indica come stigma del pensiero digitale, beh si manca il bersaglio e si rischia di fare molta confusione.
L'ultima osservazione riguarda il ricorso all'idea di zeitgeist per dimostrare come "l'aggiornamento" dell'architettura al paradigma digitale (che ripeto, non esiste) sia assolutamente necessario e' una cosa che non regge. E per di piu' e' uno dei cavalli di battaglia storici del movimento moderno e di tutte le sue filiazioni che lo hanno seguito (tranne il PoMo), anche se nessuno via ha fatto ricorso in modo cosi' acritico come invece succede oggi.
Non regge perche' 1. bisognerebbe sapere quale sia "lo spirito del tempo" di un certo tempo; 2. bisogenrebbe che questa interpretazione fosse condivisa; 3. bisogenrebbe che fosse condivisa l'idea che esiste un scollamento tra l'architettura e "lo spirito del tempo" come esso e' stato interpretato; 4. bisogenrebbe che si fosse d'accordo che questo scollamento, se esiste, costituisca un problema; 5. Bisognerebbe che si fosse d'accordo sul fatto che colmare la distanza tra l'architettura e il suo tempo sia la soluzione ai problemi che si cerca di risolvere.
Visto che non sussiste nessuna delle condizioni sopraelencate non vedo come si possa avanzare la pretesa che rifarsi allo zeitgeist costitutisca una "scusa" sufficientemente forte per sostenere la necessita' di sostenere digitale...






15/12/2002
Commento 231 relativo all'articolo:
In-Arch In-Forme di Sandro Lazier


Sono veramente contento di constatare che nonostante i nomi coinvolti in questo master in-forme siano parte dell'ambiente editoriale in rete (Brizzi) della critica "contro" l'establishment (Prestinenza Puglisi) e autori che hanno scritto sulla collana curata dal Prof A. Saggio (Palumbo), ne voi ne Saggio si sono fatti prendere ne da timori reverenziale, ne da facili calcoli di convenienza. Un plauso all'onesta' intellettuale di cui in questo caso avete dato prova.

saluti,
enricogbotta.com



Caro Paolo, non posso accettare la tua risposta. Io non sono il sicario di nessuno, e credo che sia difficile far credere che a Botta sia necessario. Io semplicemente esprimo la mia opinione. Sai benissimo che la segnalazione l'hai ricevuta e sai altrettanto bene che il commento di Botta non è stato pubblicato integralmente. Tu stesso lo hai affermato. E quello che mancava era proprio il link al sito del concorso per l'auditorium di Ravello. Giustamente può sfuggire un'e-mail, ci possono essere dei disguidi, ma omettere volontariamente una parte del commento è atto consapevole. Se non vuoi definirlo boicottaggio decidi tu il termine, possiamo spostare la discussione in abito linguistico, ma quello che è certo sono i fatti.
Riconosco il vostro impegno e con questo non voglio generalizzare e il mio giudizio sul vostro lavoro in generale, abbiamo condiviso spesso molte posizioni, spesso scomode, per la maggior parte dei media, ma a volte può succedere di non avere lo stesso punto di vista. Non è bello ricevere del "sicario" solo perchè si esprime in maniera trasparente la propria opinione. Spero che la prossima vollta i miei commenti vengano presi in maniera costruttiva e non come difese di ufficio o attacchi personali. Il ridicolo di questa storia se mi permetti è proprio questo

...
9/2/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Gianluigi d'angelo:
Hai idea del fatto che Botta ci ha dato dei "malfattori"?! e poi ha piazzato il suo bel link quale fosse il paladino della giustizia da noi oltraggiata?
Senti Gianluigi, il comunicato o il link (e non il commento) io non l'ho mai ricevuto. E ti dirò di più: Botta era tra gli ospiti programmati negli incontri universitari nell'ambito del mio corso: ha volutamente annullato dopo le diatribe con Lazier. Ci tenevo molto che i miei studenti conoscessero il suo lavoro e poteva essere anche occasione per approfondire la questione Ravello. Inoltre, visto che non appena sarà effettuata la cancellazione qualcuno potrebbe pensare ad una censura, lo stesso Botta ci ha chiesto di eliminare tutti i suoi interventi fatti su antiTHeSi. Non condivido, ma rispetto e presto lo faremo. Di certo non posso condividere un'altra promessa che mi ha fatto, non certo edificante e di cui tralascio i particolari perchè finirei per sminuire il personaggio, che avrà anche grandi qualità, ma che deve imparare lui ad essere democratico.
Comunque sia, tralascio altri piccoli particolari che non credo interessino ai lettori, ma che Botta ed io conosciamo bene. Tanto basta.
Arrivano giornalmente veri e propri commenti in forma di "insulto" ma non appena si chiede a tutti questi idioti di approfondire, scrivere e farci pubblicare il loro parere, bèh spariscono!
Ora, a me la morale non può farla nessuno, questo sia chiaro una volta per tutte, perchè sfido a trovare una sola persona a cui abbia chiesto agevolazioni carrieristiche. Il mio articolo è stato frainteso nei suoi contenuti veri ed è stato pretesto per ingaggiare una battaglia inutile, all'interno della quale siamo stati schierati tra i malfattori, fascisti, berlusconiani. Mio Dio!
Sicario? forse sì o forse no, fatto sta che il tuo intervento è stato davvero tempestivo rispetto quanto accaduto con Botta sabato pomeriggio.
con rinnovata stima



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Commento 637 di >>Paolo Fiore
9/2/2004

Dalle reazioni scomposte di Sandro Lazier emergono due punti:
il primo:
è l'unico autorizzato ad insultare, ad aggredire ingiustificatamente chi non condivide il suo punto di vista, a decidere chi è arrogante e chi non lo è. Sale in cattedra Lazier e ci fa la morale, chiede di moderare i toni gridando più forte di tutti gli altri. Ci fa sapere che si è stufato, si è scocciato di quei lettori che gli piantano delle grane e manifestano il dissenso. Un consiglio: potrebbe cominciare a scrivere un diario personale piuttosto che dirigere una rivista, non avrà contraddittorio e sarà finalmente felice.
il secondo:
sulla vicenda Ravello porta degli argomenti di grande debolezza, risponda invece perchè non si dovrebbe fare un concorso. E`l'unico strumento di confronto serio.
saluti

...
9/2/2004 - Sandro Lazier risponde a Paolo Fiore:
1.
Non è vero che insulto ed aggredisco. Anzi, mi difendo, animatamente ma mi difendo e difendo il giornale per cui scrivo. Comunque grazie del consiglio per il diario ma nessuno è obbligato a leggere quello che scrivo. Tra l’altro, leggere antiTHeSi, non costa nulla. Quindi a lei cosa dovrei dare?
2.
Che un concorso, per di più fatto da Botta, sia l'unico strumento di confronto serio mi pare quantomeno esagerato. Il concorso non è buono in sé e per sé. Dipende dal programma che lo concepisce e, soprattutto, da chi sceglie e giudica. E’ ora di smettere di pensare che sia sufficiente indire un concorso per risolvere ogni male sociale. Questo è pensiero da talebani dilettanti. Chi giudicherebbe, Botta? O qualche suo amico? Di destra o di sinistra? Verde, grigio, bianco o nero? Modernista o tradizionalista? Il giudizio sul gusto non è matematica, dove basta fare la somma e tutti sono d’accordo. Come si può pensare che il concorso premi il meglio e basta. Il meglio per chi? Dovremmo applaudire un’architettura scadente solo perché frutto di un onesto concorso?
Io credo che in un paese che voglia seriamente comportarsi in modo democratico non ci sia altra possibilità di scelta che affidarsi alla responsabilità politica delle persone che lo governano. Il “principio responsabilità” è il solo che ha legittimità. Se il sindaco di Ravello ha fatto la sua scelta deve risponderne politicamente. Se la Regione Campania ha fatto un piano urbanistico che produce contraddizione e ostacola il comune a vantaggio di un privato che vuol costruire un parcheggio, è giusto che paghi politicamente le conseguenze, licenziando funzionari, consulenti, urbanisti e quanti hanno sbagliato. Non si possono chiudere gli occhi e pensare che nulla conti perché si è leso un principio: fare il concorso. Chi pensa seriamente e conosce un po’ la storia sa che i principi vanno amministrati con cautela e responsabilità, se no diventano macchine da guerra e basta.
Il filosofo Popper sosteneva che una società evoluta è quella che sa dotarsi di regole tali per cui chiunque agisca al suo interno non possa fare più di qualche danno. Questo nega di fatto qualsiasi principio assoluto e per sempre.



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Commento 636 di >>Gianluigi D'Angelo
9/2/2004

Credo che il punto di vista di Enrico Botta sia condivisibile, e piano piano se ne stanno accorgendo il giro. Possono non piacere i toni ma non bisogna perdere di vista i contenuti. Mi dispiace che il concorso che sta preparando il CPA sia boicottato omettendo link e non dandone comunicazione. L'informazione va garantita a prescindere dalle opinioni, sono poi i lettori a dare un giudizio.
un saluto
Gianluigi D'Angelo

...
9/2/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Gianluigi D'Angelo:
Nessuno ha mai boicottato nulla. Semplicemente, non abbiamo ricevuto la segnalazione. Credo possa capitare qualche disguido anche con le e mail. Abbiamo sempre pubblicato tutto quanto Botta ci ha sottoposto.
Adesso mi sono un pò seccato di sentire antiTHeSi tacciata di boicottaggi vari: siamo stati i primi a garantire la libertà di espressione on line e ne abbiamo pagato lo scotto, visto e considerato che c'è chi, criticato, ne ha fatto una questione personale. Dunque, per favore, finiamola.
Botta, come chiunque, ha avuto lo spazio per dire e fare quello che credeva opportuno. Se il tuo intervento era finalizzato a metterci sul banco degli imputati, bèh hai sbagliato nettamente.
Botta ci ha comunicato di avere deciso di non volere intervenire più su antiTHeSi: ne prendiamo atto, ma, per favore, non mandi i sicari, perchè così finiamo per cadere nel ridicolo.



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Commento 635 di >>EnricoGBotta
7/2/2004

Mi conforta che in molti su questo sito abbiano puntato il dito contro la procedura usata dal comune di Ravello per aggirare il concorso e dare l'incarico a Niemeyer direttamente.
Mi sconforta profondamente che molti dei paladini del cambiamento difendano invece il vecchio, vecchissimo sistema delle clientele.
Al di là dei motivi che stanno dietro la decisione di inventare una procedura fantasiosa per far si che l'auditorium lo facesse Niemeyer (o Rosa Zeccato? ma Rosa Zeccato sara pur iscritta ad un ordine, e l'ordine non dice niente???), forse c'è solo l'amore per l'architettura, forse no, è evidente che si tratti di una cosa inaccettabile, non solo perche aggira una legge (orrenda) come la Merloni, ma perche aggira il diritto di tutti i progettisti al confronto pubblico.
C'è anche chi pensa che i progetti di architettura siano opere d'arte e che quindi, l'architetto come l'artista dovrebbe basare le sue fortune, come era nel Rinascimento, sulla rete di conoscenze "influenti" che riesce a tessere.
Beh, io sinceramente mi illudevo che fosse scontato che in un paese democratico la gestione della cosa pubblica non potesse essere operata con la disinvoltura invece comprensibile per gli incarichi privati o per le dittature rinascimentali.
Voglio dire, se De Masi dovesse fare casa sua non ci vedrei assolutamente nulla di male se facesse una telefonata a Niemeyer e gli desse l'incarico (contento lui...). Un auditorium che costa l'ira di dio di soldi pubblici credo sia una faccenda molto, molto diversa. Perche l'Italia, ci piaccia o no, è un paese democratico e non il Vaticano, o la Firenze del '500 (grazie a Dio). Di conseguenza ci vuole un concorso.
Sono giacobino? Giacobino non so... manicheo senz'altro. Chi sostiene questo auditorium è un malfattore. Punto. Chi ostacola il concorso per l'auditorium è un malfattore, c'e' poco da fare e poco da argomentare. Non si tratta di opinioni, ma di principi.
Poi si può tirare l'acqua a tutti i mulini del mondo (io, al contrario di quasi tutti gli altri, la tiro al "nostro" e non al "mio"). Rimane il fatto che questi 18,6 milioni di euro sono uno scippo operato ai danni di tutti noi. E sinceramente mi è molto difficile solidarizzare con chi si felicita di questo.

...
7/2/2004 - Sandro Lazier risponde a EnricoGBotta:
Caro Botta, io credo che non esista più nessuna seria possibilità di dialogo. Malgrado la generosità con la quale diamo spazio a qualsiasi genere di commento – e molti lettori ci rimproverano questo atteggiamento forse troppo indulgente – alla fine non muoviamo di un pelo le nostre convinzioni e quelle dei nostri interlocutori. Quindi, fatica sprecata.
Si rende conto che veniamo accusati di speculazione, connivenze varie e complicità indegne. Lei ci definisce malfattori punto e basta. E questo avviene in casa nostra, nel nostro giornale e senza nessuna giustificazione razionale. L’articolo di Paolo G.L. Ferrara, infatti, non conteneva nulla di tutto quello che ci viene sputato addosso. Per cui ci siamo scocciati delle stupidaggini, che provengano dal centro, da destra o da sinistra, alle quali non intendiamo più dare spazio e risonanza.
P:S: mi sono permesso di togliere il link che ci ha segnalato in virtù di questa rinnovata tendenza editoriale.



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Commento 633 di >>Pierluigi Di Baccio
7/2/2004

Senta Lazier,
credo lei si offenda senza motivo: lei dice che io sono un cretino appartenente a certa sinistra malata? A parte che, semmai, quel che vale per me vale anche per lei (che ne sa?), e poi qui di farneticante c'era solo il fatto che parlando di architettura e concorsi lei non ha trovato di meglio che tirare fuori le leggi razziali e lo sterminio di persone innocenti.
Scusi, ma le pare serio?

...
7/2/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Pierluigi Di Baccio:
Credo che Lei, egregio Di Baccio, non abbia ben chiaro il significato dell'articolo a cui si riferiscono i commenti in causa e la Sua diatriba con Lazier. Dunque, credo sia il caso di lasciare perdere perchè, come si dice da noi in Sicilia, "quannu lu scecu nun voli viviri, è inutili fiscari". Ora, non è che io Le stia dando dell'asino, per carità! è che Lei non ha sete.




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Commento 632 di >>Pierluigi Di Baccio
7/2/2004

Gentile Lazier,
purtroppo la sua risposta non rimuove affatto l'ambiguità di cui sopra. Lei non vuole entrare nel merito e ritira fuori la solita storiella dei giacobini infingardi: capisco che l'argomento è molto gettonato, ma non c'entra nulla.
Per non parlare del riferimento alle leggi razziali...di cui tutti potranno valutare l'opportunità. Io rimango perplesso, ma non mi stupisco più di tanto: non so quanto consapevolmente, ma lei sembra muoversi sulle orme di quel revisionismo facilone che ormai soffoca da anni questo paese.
Lei ce l'ha con l'intellighenzia presunto-giacobina che chiede solo il rispetto del corretto gioco democratico? Sarà, ma io il pericolo lo vedo dall'altra parte, in quell'Italia incattivita da un invincibile spirito di rivalsa culturale più forte di tutto e di tutti. E' un'Italia pseudo-libertaria e in realtà contro-rivoluzionaria nella quale si fa troppo presto a rivoltare la storia nazionale come un calzino e nella quale qualunque giornalistucolo può permettersi di andare in giro indisturbato a dire che l'Olocausto è colpa dei partigiani che non fermavano i treni della deportazione...
Qui qualcuno ha perso il senso della misura, e delle cose. Delle casette abusive non è fregato niente a nessuno, in primis a quelli dalle vostre parti, tutti persi in elucubrazioni sulla stupenda visionarietà del Corviale e via dicendo.
Mi spiace, ma in questo paese ai corrotti e ai tangentisti un po' di paura (per troppo breve tempo, purtoppo) l'hanno messa solo quei cattivoni dei giacobini giustizialisti innamorati del rispetto delle regole democratiche (non certo delle leggi raziali) e della moralità della pubblica amministrazione! Gli autoproclamatisi riformatori, innovatori, modernizzatori, radical-libertari o liberisti dov'erano? Ad appoggiare i governi dei condoni, da Craxi a Berlusconi....mi spiace Lazier, ma se l'è cercata.

...
7/2/2004 - Sandro Lazier risponde a Pierluigi Di Baccio:
Di Baccio, ma sta scherzando?
Cosa conosce lei della mia vita e della mia storia per offendermi senza nessuna possibilità di dialogo e di ascolto?
Mi sarei cercato cosa? Il giudizio sommario di un cretino di cui certa sinistra malata non riesce a liberarsi?
Mi spiace per lei ma quello che ha scritto porta una grande responsabilità verso i lettori che sapranno sicuramente dar giudizio delle mie parole e della storia di antiTHeSi e delle sue estemporanee farneticazioni.



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Commento 630 di >>Pierluigi Di Baccio
7/2/2004

Poichè sulla questione Ravello mi pare che la nostra Dolce Mara non sia ancora intervenuta su queste pagine, e la mancanza si sente, spero di non farle eccessivo torto riportando qui pari pari quanto da lei scritto e comparso sull'ultima presS/Tletter di LPP:
"Mara Dolce: Domenico De Masi e Oscar Niemeyer.
Dice il sociologo De Masi promotore di Niemejer e del suo progetto per l' auditorio di Ravello contestato da Italia Nostra :'In un periodo di volgare mercificazione della cultura e del turismo...'. Non si discute il merito e la comprovata professionalità di Niemejer , né la necessità per Ravello di un auditorio. Non si vuole neppure entrare nel merito del progetto dell'architetto brasiliano e passano in seconda istanza anche le ragioni degli ambientalisti davanti alla seguente domanda:perché il sociologo De Masi, ex presidente in/arch da anni in prestito all' architettura- e quindi, deduciamo, con una comprensione cosciente dello stato e delle necessità della architettura italiana, non ha promosso un concorso per l' auditorio di Ravello visto che si tratta di denaro pubblico (finanziamento regionale di 18,5 milioni di euro) e non di committenza privata? Perché il sociologo De Masi ha dato un incarico diretto al suo amico Niemejer ? L' architettura non è un evento mondano, non si chiama un professionista come se fosse la firma di uno stilista di moda; il campo del confronto e della prova è quello del progetto, volta per volta, non quello del nome nè dello stile . Perchè non passare per il confronto culturale e democratico del concorso? Se si adottasse il criterio De Masi degli incarichi diretti che vede nomi dalla professionalità consolidata, per mettere a tacere qualsiasi perplessità, finirebbe l'architettura. Il concorso e' un utile strumento democratico che permette di volta in volta, di considerare il valore formale di un progetto; è questo elementare criterio che ha permesso a un giovane sconosciuto, tal Michael Arad, anni 34 - che lavora al comune di New York- di aggiudicarsi il concorso per il monumento in memoria delle vittime degli attacchi all' America dell'11 settembre , scalzando colleghi dalla comprovata e solida professionalità. Una cittá, un paese, non è un museo che deve 'acquisire' UNA ARCHITETTURA COME FOSSE un'opera d'arte, per poter vantare il nome di tal artista o scultore nella propria galleria in modo da aumentare la propria offerta culturale. Un paese civile e democratico, usa il concorso come indispensabile strumento di confronto e riflessione, per assicurarsi quanto di meglio si possa concepire sul tema. Come già è successo in questi casi, gira la solita petizione che difende la banale contrapposizione nuovo/vecchio. La sottoscrivono accademici e non, che si spettinano sull'aspetto secondario del caso: la necessità del nuovo; senza eccepire invece, sulla modalità dell'incarico diretto. De Masi è sociologo e può peccare di superficialità e incompetenza nell'ambito dell'architettura, ma che gli architetti gli facciano da amplificatore sul ritornello nuovo osteggiato dal vecchio, non vedendo la macroscopica anomalia della procedura, è veramente grave."
Ovviamente condivido ogni singola parola! Spero solo la diretta interessata voglia scusare la mia intromissione...tuttavia il suo commento riassume alla perfezione l'argomento qui già sostenuto da me a da altri (Botta) e sul quale sia Ferrara che Lazier mi pare continuino ambiguamente a sorvolare....

...
7/2/2004 - Sandro Lazier risponde a Pierluigi Di Baccio:
1. Lazier e Ferrara non sorvolano. Ferrara ha scritto un articolo che basta leggere. Lazier non condivide, contrariamente a lei, nulla o quasi di quel che dice Mara Dolce.
Infatti, non mi piace il giacobinismo di fondo che c’è nelle riflessioni sue e, in parte , in quelle di EnricoG. Botta. Il principio ”la loi avant-tout “ è sempre stato strumento che storicamente ha mortificato la dignità umana, basti pensare alle leggi razziali europee, quando “la legge prima di tutto” imponeva di denunciare i propri vicini di casa per mandarli nei forni crematori. L’età e qualche buon maestro mi hanno insegnato a distinguere i reati dai peccati e, a casa mia, ha voce la coscienza che ancora valuta caso e caso.
2. “La necessità del nuovo” non è un aspetto secondario della vicenda. Anzi, è quello principale, perché nessuno si è sollevato per le casette abusive costruite in passato con procedure ben più scandalose di quelle che hanno permesso a Niemeyer di progettare l’auditorium. La molla, il motore che ha smosso l’inerzia dei benpensanti, è stata l’idea di “sfregio” che il nuovo avrebbe procurato ad un immaginario ambiente originario, sedicentemente tutelato da ogni genere di associazione che, tutte insieme, sono responsabili di questo paranoico universo normativo: regole su regole in continua e comica contraddizione. Della legge Merloni abbiamo già detto - insieme al Co.di.Arch. di Beniamino Rocca e Alberto Scarzella Mazzocchi - come dei concorsi di architettura. Non si riforma l’una senza riformare gli altri.



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Commento 628 di >>Francesco Pietrella
6/2/2004

ACUSTICA CONCHIGLIA
In questi giorni di gelo e neve che cade su Roma in quella maniera inusuale ma che mi allerta dubbi circa le inusuali alterazioni climatiche dei tempi correnti mi arriva agli occhi l’ultimo progetto di Oscar Niemeyer per Ravello. Con mio grande interesse constato e apro il mio cuore e la mente al prossimo insegnamento che questo grande maestro ci da alla sua veneranda eta’.
La testimonianza di un poetica umana che si misura con la natura e ne diviene il sigillo dell’esistenza, riscatta la storia e il brutto e compie l’iperbole linguistica consegnando l’opera d’arte al luogo, alla gente, alla storia e ai benpensanti.
Il rapporto con il luogo e’ la genesi del progetto, e’ la trama di elementi che formalizzano in un volume splendido per la sua semplicita’ non da nuvola Fuksas troppo imitate o per proporzioni inumane da palazzone dittatoriale da abbattere con le bombe intelligenti.
A noi ci appare uno splendido piccolo gioiello al confine di una scultura architettonica che parla come dal Brasile all’immenso spazio naturale divenendone il sigillo, l’ambito controllato e commensurabile della realta’ stratigrafica che digrada nel mare, metafora di un’ ACUSTICA CONCHIGLIA protagonista ella si’ del territorio di Ravello e di cui e’ il futuribile-teatro-antico affacciato, presenza eco di spazi lontanissimi e immensi che parlano per frammento ai piccoli funzionari del comune, ai bigotti e professoroni dal cavillo imperioso che primeggiano per la polemica tralasciando guarda un po’ tutto il resto di abusivismo edilizio che tracima e tracima il belpaese. Come quando, da ragazzetto, visiti la Farnesina e sei colpito dagli sgarri di sgherri sugli affreschi raffaelleschi.
L’antisimmetria e l’orientamento sono puntamenti che ci indicano chiaramente il rapporto con il luogo, la piazza a striscia ci riempie di ammirazione per la valorizzazione da una parte delle possibilita’ aggregative del contenitore dall’altra dell’agora’ antisimmetrica come memoria e come innovativo innesto tra urbano e natura, tra citta’ storica e orografia costiera, tra la TEXTURE UMANA per frammenti DNA di memoria brasiliana ibridata alle dimensioni attutite e il mescolio di popolo locale a nuove integrazioni miraggi di “MOSCHEE AMALFITANE” sapori di cucina mediterranea portate dal vento al di la’ del mare. Ci viene indicato il rapporto tra il puntamento ai venti marini che insistono sul fronte costiero e la possibilita’ di una viabilita’ che cucia come una “rete a strascico” il territorio interno alla conchiglia-auditorium ibrida alla vita di mare e terra, tra spazi sconfinati sudamericani e minimo ambito urbano sud-italiano, tra silenziosa natura selvaggia da antropizzare e natura sociale provinciale da orientare culturalmente ad un futuro di diversita’, architettonicamente da poter anche strutturare con

meno convivenza
piu’ convivialita’.


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Commento 618 di >>Pierluigi Di Baccio
2/2/2004

Premesso che anche io, come Botta, ho seguito la vicenda un po' distrattamente...tuttavia mi sento di condividere pienamente le sue considerazioni. Anzi, anche ascoltando la trasmissione di Ambiente Italia di due settimane fà, avevo la netta impressione che non si volesse cogliere il nocciolo della questione, che è esattamente quello esposto da Botta. L'episodio dell'auditorium a Ravello è tuttaltro che edificante dal punto di vista del rispetto delle regole, e non tanto di quelle paesaggistico-urbanistiche, ma proprio di quelle riguardanti la democraticità e trasparenza delle procedure di affidamento degli incarichi di progettazione!
Non sto qui a riassumere i termini della questione, chi non li conoscesse vada a leggersi i già citati commenti di Botta (n. 602 e 612): tuttavia mi preme sottolineare il fastidio da me provato nel vedere la levata di scudi che sulle pagine di Antithesi si è sviluppata a difesa di questo progetto. E' come se pur di cavalcare la questione ai fini della pluriennale (e meritoria) battaglia a favore dell'architettura contemporanea in Italia, illustri commentatori avessero deciso di oscurare, censurare un aspetto fondamentale della questione finendo per contraddire se stessi, visto l'impegno profuso invece in altre occasioni a favore dell'estensione a 360 gradi della procedura concorsuale nell'affidamento di opere d'architettura!
Mi è sembrato che pur di aprire la gazzarra al presunto COMPLOTTO burocratico-passatista-antimoderno che qualcuno vede come un fantasma aggirarsi ovunque, ci si sia turati il naso nascondendosi dietro un dito, ovvero il nome illustre del povero Niemeyer che in tutta questa storia mi pare la vittima, visto il livello indecente di strumentalizzazione che della sua figura si è fatto.
Qui non si trattava affatto di difendere l'architettura di un Maestro dalla grinfie della buracrazia immobilista o delle tanto vituperate associazioni ambientaliste, semplicemente si trattava di censurare un modo un po' disinvolto di amministrare la cosa pubblica che colpevolmente ha strumentalizzato valori importantissimi come quelli legati alla promozione del moderno in italia, sporcandone così l'immagine e la legittimità per il futuro! Non è pretendendo di violare le norme o di aggirarle elegantemente con palese strafottenza che perverremo mai a fare di questa Italia un paese degno. Mi spiace soprattutto che stimabili persone, anche su questa webzine, si siano fatte accecare dallo spirito di rivalsa culturale arrivando a ridurre tutta la questione a una gara fra Noi e Loro. Non so se a qualcuno interesserà, ma assai poco mi è piaciuto leggere frasi di questo tipo: "Personalmente, mi è del tutto indifferente che il progetto sia di Niemeyer, o di Meier, o di Tschumi, o di Gehry, o di Nouvel, o di Piano, etc. Importante che non sia di Grassi, Gregotti, Aulenti, Bofill, Purini, Krier, Zermani, etc."
Io a questo gioco dei buoni e dei cattivi sinceramente non ci sto, lo trovo infantile. Dibattiamo sul merito, per favore!

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2/2/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Pierluigi Di Baccio:
Dice Lei: "...COMPLOTTO burocratico-passatista-antimoderno che qualcuno vede come un fantasma aggirarsi ovunque...". Aggiungo io: magari fosse un fantasma; ha letto l'articolo di Lazier "Tradizionalismo a Parma"?
L'Italia soffre di tradizionalismo: che vengano uno, dieci, cento Terragni del Novocomum. A proposito, per quanto concerne "entrare nel merito delle cose", antiTHeSi è un filo rosso. Se rileggesse tanti altri articoli, se ne accorgerebbe.
Cordialità





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Commento 617 di >>Beniamino Rocca
2/2/2004

Per fatti come Ravello una cosa è certa: la polemica non va fatta sulla non conformità del progetto, e dell'incarico, alle leggi esistenti (da sempre, in Italia, aggirate dai più furbi, cioè i meglio inseriti nell'apparato politico-amministrativo).
Questa, invece, è un'occasione formidabile per denunciare il ruolo deleterio (per l'architettura e, quindi, per il paesaggio) della legge Merloni e degli ordini professionali degli architetti, come i fatti riportati da E.G. Botta testimoniano. Ecco un tema che vorrei vedere posto con forza ed onestà intellettuale sulle riviste d'architettura. Domus in testa magari, visto che, pur tra le palesi debolezze deontologiche già evidenziate da Enrico Malatesta, sembra voler fare dell'impegno civile una sua nuova specificità.
C'è poco da fare, la battaglia culturale, il clamore che il progetto Niemeyer ha sollevato va indirizzato contro la sciagurata legge Merloni, gli ordini professionali, l'apparato burocratico-amministrativo, le associazioni ambientaliste, i concorsi d'architettura truccati (e lo saranno fin quando non saranno finalmente palesi e con dibattito pubblico delle giurie), e gli intellettuali di sinistra che, potendolo, non hanno il coraggio di difendere la libertà dell'individuo e la creatività, dunque, l'architettura come epressione di vera civiltà.


Cara Arianna,
la questione della procedura seguita nel caso di Ravello è molto importante perché ha dimostrato una cosa che i meno ingenui di noi già sapevano da molto tempo: che le leggi possono essere aggirate.
A Ravello hanno fatto i disinvolti per molti motivi, il primo è evidentemente il principio "padroni a casa nostra", a dispetto di tutto e di tutti.
La legge 109, che giustamente citi, è stata bypassata con una tale disinvoltura ed eleganza che lasciano attoniti: Niemeyer "regala" al comune il modellino e qualche schizzo, passati sotto le mentite spoglie di "opere d'arte", quindi non si tratta di un progetto di architettura (e la 109 con le "opere d'arte" non ha nulla a che fare), dopo di che il progetto definitivo viene firmato formalmente dall'architetto dell'ufficio tecnico di Ravello, Arch: Rosa Zeccato. Due piccioni con una fava: in giro si dice che il progetto è di Niemeyer per gli ovvii motivi di pubblicità, ma nella forma la firma l'ha messa l'arch. Zeccato. Ora, se io fossi l'Ordine un po' mi agiterei, e invece...
Come afferma il sindaco di Ravello, Secondo Amalfitano: "A Niemeyer è stata affidata una consulenza per la parte architettonica, al di sotto della cosiddetta soglia Merloni, per un importo di 95.000 euro. Si procederà poi con il sistema dell’appalto integrato, previo bando europeo, all’affidamento della progettazione esecutiva e dei lavori".
Resta da chiarire come faranno a tenere fede alla clausola imposta da Niemeyer di essere incaricato della direzione dei lavori (il suo studio, non lui, visto che lui non prende l'aereo e che quindi a Ravello non c'è mai stato né mai ci metterà piede).
L'obiezione sollevata da ItaliaNostra, per chi abbia letto il testo del ricorso, non fa una piega visto che le violazioni alle regole, nel senso più ampio del termine, operate in questo caso sono palesi e numerose.
A me, tra l'altro, piacerebbe che qualche valoroso critico si azzardasse in una critica del progetto in se stesso, ma pare che tutti abbiano tirato i remi in barca su questa questione. Il sindaco di Ravello addirittura definisce Niemeyer il più grande architetto vivente, peccato che lo dica qualunque committente del proprio architetto di fiducia.
L'opera di Niemeyer in Italia c'è già, è la Mondadori e risale al 1968. Nel frattempo, come si è detto, di acqua sotto i ponti ne è corsa, e forse un pezzo di architettura modernespressionista anni '50 a posteriori ce la potremmo risparmiare. Ma come insegnano gli antichi, de gustibus...
sulla vicenda segnalo il sito di Edoardo Salzano, ricchissimo di documenti e links: www.eddyburg.it
per chi avesse mancato la trasmissione di sabato scorso di Ambiente Italia dedicata alla vicenda dell'auditorium:
http://www.ambienteitalia.rai.it


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Commento 611 di >>arianna sdei
30/1/2004

Quello che dice EnricogBotta sull’assegnazione dell’incarico è in parte vero, un’amministrazione pubblica ha il dovere di valutare prioritariamente la possibilità di esperire un concorso di progettazione nel caso di opere di rilevanza architettonica o ambientale, questo è stabilito dalla legge 109.
Questo è il caso tipico, e di certo le cose non sono andate così.
Tuttavia non ho abbastanza elementi per valutare la legittimità del procedimento dell’auditorium e comunque non spetta a me.
Non credo che siano inutili prese di posizione quelle dei pro e dei contro perché arrivati a questo punto così avanzato del procedimento le scelte sono due: o si realizza il progetto o non si realizza.
E’ qui dunque che entra in gioco la sua qualità, questa decisione in questo momento andrebbe presa tenendo conto della qualità del progetto e non di fatti burocratici o economici.
Niemeyer è un architetto che ha fatto la storia del secolo scorso, sarebbe bellissimo avere una sua opera nel nostro paese. Spero che su questo non ci siano dubbi.
Arianna Sdei


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Commento 602 di >>enricogbotta
24/1/2004

Premetto che ho seguito solo distrattamente il dibattito sull’auditorium di Ravello come si è sviluppato qui sulle apgine di antithesi. Ciò nonostante mi permetto di condividere le perplessità che alcuni lettori hanno espresso sulla vicenda a prescindere dal caso specifico del progetto di Niemeyer.
In particolare credo che la procedura adottata per “assegnare” l’incarico per l’auditorium all’architetto brasiliano sia assolutamente discutibile, fermo restandone la leggitimità.
Quindi al di là delle solite diatribe tra fronte del si e fronte del no, mi sembra che il nocciolo vero della questione (non solo di questa e per questo vale la pena discuterne) sta nel fatto che i processi che portano all’assegnazione di incarichi che abbiano un impatto diretto su una comunità avviene in modo o arbitrario o non traspearente, comunque in un modo non democratico.
Allora, ripeto, al di là delle discussioni sul merito del progetto che lasciano il tempo che trovano visto che nessuna delle parti può vantare una qualsivoglia oggettività, l’unica soluzione sono concorsi trasparenti e democratici.
Questo, al contrario di ciò che si può pensare, è ben altro che “wishful thinking”, si tratta piuttosto di una cosa assolutamente realizzabile nella realtà e il caso di Ravello può essere un’ottima occasione per aprire la strada a nuove procedure concorsuali.

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Commento 601 di >>paolo marzano
24/1/2004

‘Considerazione’ ad Italia Nostra di Paolo Marzano, per il dibattito in corso sulla costruzione dell’auditorium a Ravello.
aspettando il 1° Aprile
Visto che ci sarà una pausa d’attesa fino all’ 1 Aprile, giorno della decisione del TAR di Salerno, sulla possibilita di realizzazione dell’auditorium a Ravello, vorrei che ad Italia Nostra arrivasse questa mia considerazione sul dibattito in corso.
A Ravello, non entro nel discorso di particolaristici interessi politici che più delle volte rallentano e sprecano energie debilitando gli entusiasmi e la voglia di fare, mi chiedo se è possibile che non sia chiara la logica confluenza di un indotto ‘culturale’ nel vero senso della parola.
Possiamo osservare questo particolare fenomeno come su un vetrino di un microscopio in un laboratorio che analizza l’intima struttura, quando s’interviene sulla materia paesaggistico-artistico-storico-natuale. Essa, infatti, rappresenta ricchezza che non manca certamente, sul tavolo della ricerca italiana per lo sviluppo del nostro paese. Componenti determinanti facenti parte, ora di una ‘coltura’ d’elementali particelle che con impercettibili ameboidi movimenti, elaborano nuove interconnessioni. Generano sinapsi interstizialmente capaci, con il tempo, di far emergere un tessuto ‘sensibile’, una probabile nuova metodologia d’approccio alla difesa di questi stessi ambienti; magari isolando eventuali punti deboli oppure comprovando generatori di energia propulsiva per quanto riguarda flussi turistici e forze imprenditoriali locali. La natura può essere benissimo vincolata, quindi salvata e strappata ad artigli cementizi, anche fondendola ad uno dei suoi pricipali ‘derivati’, l’uomo.
Guarda caso l’uomo per vivere con i sui simili crea comunità, le comunità hanno bisogno di relazioni comunicative supportate, questo è importante, da fattori emozionali che stimolano conoscenza, sviluppando dinamiche indirizzate al miglioramento della qualità di vita. La natura da difendere quindi è formata anche dall’ “uomo urbano”. Questo è essenziale; appena l’individuo si confronta con atteggiamento conoscitivo, all’ambiente in cui vive, crea delle relazionalità in uno spazio che appartiene già alla collettività, per cui ha bisogno di essere interpretato nella maniera più aperta e flessibile.
Ora, quando in questo caso, tutte queste cose, confluiscono in un luogo geografico ben determinato (pensiamo al miglioramento ed alla reale riqualificazione che l’intervento darebbe a gran parte della costa su cui sorgerà l’auditorium, nel rispetto delle regole) allora non ci si può preoccupare se si tratta di una costruzione di cemento o pietra a vista. Esso apporta un salto qualitativo legato indissolubilmente ad una cultura dinamica (la natura rientra come recettore sensibilmente in ‘attesa’ di continuità con altri vettori pluridirezionali) già verificata da anni. Spero non si tiri fuori, in ultimo, l’argomento bello/brutto che come si sa’, è scomparso come concetto al salto del secolo ‘800/ ‘900; come genialmente dice Woody Allen.
Dalle mie ricerche sulle mutazioni dei luoghi collettivi derivate dalla trasformazione tecnologica, penso che se osservata da vicino, quest’ intera area produrrà fenomeni che diventeranno dei precedenti, per soluzioni strategiche future d’intervento sull’argomento ambientale. Pozione difficile e complessa da ottenere in quanto le percentuali di sostanze componenti sono difficili da dosare per ogni luogo deputato ad evidenziare le sue caratteristiche, ma il risultato certamente sarà inequivocabilmente positivo se però, sarà adottato il principio del laboratorio sperimentale, capace di trasformazioni appena una caratteristica ambientale evidenzia nuove e impreviste, ma utili ipotesi di sviluppo. Recepire, maturare, sviluppare. Questo, ricordate, richiamerà l’attenzione di fervide menti pronte a considerare le vittorie e sottolineare le immancabili disattenzioni progettuali (parlo di tutta l’area), per cui consiglio di prestare attenzione soprattutto ai collegamenti per così salvaguardare, per esempio; la viabilità e di dotarla delle sue diverse destinazioni d’uso perché tutti possano accedere, ed in qualunque modo ad una migliore qualità di vita che l’opera sicuramente produrrà. L’auditorim nasce come cntro di confluenza culturale per cui sarà di tutti. Un ultimo consiglio che ho tratto dall’insegnamento dei maestri dell’architettura lasciati tra le righe dei tanti testi delle loro esperienze raccontate;
nei casi in cui si costruisce un’opera per la collettività:
sono entusiasmanti e stimolanti le pubblicazioni dei progetti che si realizzeranno per la riqualificazione di tutta l’area, ma oltrechè raccoglierle in testi o monografie che gireranno per il mondo, sarebbe auspicabile che venissero presentate in mostre ed esposizioni periodiche locali itineranti, con lo scopo di illustrare alla popolazione come si svolgeranno i lavori prima durante e dopo il progetto o i progetti. Un modo di comunicare i cambiamenti, traducendo le trasformazioni alla gente del luogo, o ai visitatori che si sentiranno un po’ più vicini ad una terra in trasformazione comprendendo le vere potenzialità tanto attese e acquistando una qualità ritrovata che non sarà legata alla nostalgia di un “come eravamo” ma pretenderà dal futuro una concreta realtà di “come saremo”.


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Commento 600 di >>Paolo marzano
24/1/2004

Buone nuove per Ravello, più vicino l'auditorium
Si allunga l’attesa per l’auditorium di Niemeyer a Ravello, rimandata la decisione al 1 Aprile, passo in avanti a favore della realizzazione del progetto, però l’ultima decisione del TAR di Salerno.
Stralci degli articoli di
Giovanni Marino
da La Repubblica del 23.01.04
e di Gaetano de Stefano
da La Città di Salerno del 23.01.04
E’ successo che i proprietari del terreno, che lì vorrebbero invece farci dei garage, originariamente erano contro il progetto, faceva parte di questo schieramento anche il Wwf ma, in extremis ci ha ripensato rinunciando all'agone giudiziario. Contro Italia Nostra e privati, uno schieramento composto dal Comune di Ravello, dalla Regione Campania, dalla Comunità montana, che ritengono "legittimo" la costruzione dell'auditorium, compreso a loro dire dal Put alla voce "centri sociali e culturali"
"Quanto stabilito dal Tar ci vede concordi, la soluzione adottata consente infatti all'amministrazione di non interrompere le procedure per il finanziamento". Ma pure l'avvocato per Italia Nostra, dà un giudizio favorevole su quanto accaduto ieri: "Siamo soddisfatti della decisione assunta perché le ragioni di diritto esposte con il ricorso non potranno che trovare adeguata valorizzazione nell´udienza di merito".
Lo slancio culturale che darebbe un intervento di questo genere in quella zona, dovrebbe far meditare molti, prima di azzerare ogni speranza di rivalutazione, ambientale e storico-paesaggistica che, se gestita con responsabilità, apporterebbe ricchezza non solo economica ma incentiverebbe iniziative sociali e imprese collettive in un luogo certamente 'elettivo' in attesa da tempo di risorgere storicamente esprimendo le sue colte meraviglie.
Per maggiori notizie al link:
www.architettiroma.it/archweb/dettagli.asp?id=4969



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Commento 598 di >>paolo marzano
23/1/2004

a Isabel Archer, benvenuto auditorium!
Va bene così,
spero che costruiscano l'auditorium di Oscar Niemeyer a Ravello,
il luogo ci guadagnerà e anche tante altre iniziative culturali previste ed in attesa di realizzarsi. I grandi discorsi legati a come vanno le cose in Italia dal punto di vista concorsuale, lasciamole perdere ormai sono vortici terminologici e trappole per cui si perde solo tempo a discuterne.
(una soluzione è auspicabile, ma non è un discorso da fare continuamente!!!)
In rete, o si arriva ad una conclusione dopo pochi interventi o verifichiamo quello di cui parla Ferri nei suoi testi; il rischio e solo quello di parlare, parlare parlare senza sforzarsi di cogliere ed definire eventuali 'ipotesi' risolutive, QUESTO, NON MERITANO I LETTORI!
A parte l'ironia che avevo usato nell'elencarle i miei scritti, con riferimenti a banalissime prospettive dal basso (tipo deposito di zio Paperone) che non approvo assolutamente e capisco che per mio, errore non sono state compese, Le chiedo: per due volte ha definito alcune mie descrizioni come panegirici, ma Lei, da quale baule ottocentesco con finti pidini a zampa di leone e mordentato color noce, ha tirato fuori questa frase:
"..Ravello è bella così, lasciamola in pace e cerchiamo solo di difenderla dagli abusi (è sia chiaro non considero l’auditorium un abuso) e di lasciarla crescere da sola, come ha sempre fatto, in una dimensione appartata e spontanea..."
Dopo queste parole, penso che la discussione per me, possa finire qui, tanto tra un pò sapremo cosa si farà o non si farà a Ravello.
Buona continuazione e buona trattazione di problemi italiani concorsuali, di baronato, di ricercatori mal pagati, di studenti fuori corso e di laureati americani ed europei a 23- 24 anni, di amministrazioni indolenti imprenditoria sfacciata di superfetazioni spungiformi e periferie labirintiche, di nuova interttività e costruzione di nuovi Zen, di tetti inclinati nel Salento e di grandi pareti vetrate al nord, di terziario avanzato congestionante e di centri storici invasi da sportelli bancomat , ecc....
(tutti spunti interessanti, ma decontestualizzati, non vogliono dire nulla!
una tecnica politica, banale, per 'oscurare' l'interlocutore)
Penso seriamente che non sia il luogo adatto per discutere di questo. Spero vivamente che nascano dei siti con questo scopo. Altrimenti non si potrà più parlare di nulla in quanto rovesciare negatività e azzerare desideri e buoni propositi con fumose e pretestuose teorie irrealizzabili, da semplice e abusato sport italiano.
Alla prossima disavventura architettonica!
(incredibile! Stessa situazione di tanto tempo fà, del progetto di Wright a Venezia!)


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Commento 597 di >>Isabel Archer
23/1/2004

In risposta a Paolo Marzano - commento n.596
Gentile Marzano, lei ricade nel panegirico, ma questa volta di se stesso. Il suo più che un invito a leggere, mi pare un invito a leggere i suoi scritti. Apprezzabile il tentativo quasi surreale di fare un riassunto di tutti i suoi proliferanti articoli, ma ne risulta un pastiche letterario che sfinirebbe chiunque.
Io non voglio essere maestra di nessuno, dico solo quello che penso.
Mettere le mani in questo suo discorso è veramente difficile, mi perdoni la sincerità.
Con tutta la buona volontà riesco a fare qualche considerazione solo sulle cose che mi sono più care, ma si rischia di uscire molto fuori tema.
Mi viene in mente che “lo stupore dell’effetto prospettiva dal basso” mi ricorda i grandi disegnatori di inizio Novecento.
“L’architettura interattiva non è una realtà, è già il passato! Si parla di possibilità di creare una nuova generazione di database dove più individui possono interagire apportando tecniche e metodi per il controllo di forme complesse connesse con più postazioni, ma questo sottointende una pratica mediale e una strategia collettiva di comunità ‘unite’ da forze relazionali che vanno oltre l’interazione;
è come se Lei parlasse del telegrafo ad individui che posseggono programmi interni alla NASA di cui solo dopo trent’anni la gente comune apprezzerà li sviluppi (così è successo per il tubo catodico o televisione, così è successo per il computer, per internet ecc…) .”
Cosa dire? Parliamo e non ci capiamo. A questo punto bisognerebbe chiarire prima cosa s’intende per “architettura interattiva”. Ma non so se sia il caso farlo qui, magari privatamente sarebbe meglio, non fosse altro che per il bene dei lettori.
Mi scusi ma io spero proprio che lei non mi prenda mai “sottobraccio” per spiegarmi le cose in questo modo.
Comunque, da quello che mi sembra di intuire, credo che le sue idee siano sicuramente più chiare del modo in cui le esterna.

Anch’io vorrei comunque tornare al tema principale e a costo d’inimicarmi tutto il mondo architettonico contemporaneo vorrei dire con spassionata parziale sincerità che: passi l’auditorium di Ravello, ma a sperimentare si vada nei centri storici delle grandi città italiane, dove c’è tanto da ricucire, da recuperare, da valorizzare, cominciamo da lì.
Ravello è bella così, lasciamola in pace e cerchiamo solo di difenderla dagli abusi (è sia chiaro non considero l’auditorium un abuso) e di lasciarla crescere da sola, come ha sempre fatto, in una dimensione appartata e spontanea.
Mi si accuserà di voler congelare il mondo, ma meglio, dopotutto, essere realistici e vedere che in Italia non siamo ancora pronti: se per un’opera architettonica di smisurata importanza si ricorre ad una “trattativa” privata e non ad un concorso di idee che speranze ci sono?
E se poi , spesso giustamente, non si ha nemmeno fiducia nei risultati di un concorso, da dov'è che dovremmo cominciare?
Qualcuno viene a dirci che è tutta una paranoia nostra, che dobbiamo smetterla di dire che la gente "pulita" non va avanti... beh, deve essere una persona veramente dissociata per non vedere ciò che abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi, nel 99% dei casi.
Ora se io ero amica di Bernhard Franken e decidevo che il modo migliore per costruire un auditorium a Ravello fosse affidare la progettazione a lui, quanti si sarebbero strappati i capelli per difendere la mia iniziativa?
Non voglio svilire la fatica di un'operazione economica e culturale complessa, di sicura validità morale, come quella innestata da De Masi, ma questa soluzione doveva essere l'ultima ratio.
Un concorso, ci vuole un concorso.




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Commento 596 di >>Paolo Marzano
22/1/2004

Osservazioni pro - Niemeyer a Ravello, discutere è un po’ … realizzare.
Note a margine di Paolo Marzano per Isabel Ascher
Ravello, come sicuramente, Lei avrà visto e mirabilmente indagato dalla storia recente, ha avuto ed ha delle particolari caratteristiche ‘elettive naturali’ tali da generare numerose altre RELAZIONI (vedi principi base dell’architetura moderna, anzi contemporanea, anzi direi quotidiana). Queste relazioni hanno a che fare con una relazionalità identificabile per ‘differenza’. La differenza, come ho già citato in un mio scritto ( “l’uomo Altrove”) ,è la prossima ‘parola’ che affonderà i suoi artigli percettivi in questo secolo determinado un’esaltazione della differenza programmata dall’evoluzione genetica umana come ‘contaminazione differenziata’ secondo ordini casuali, a questo punto, necessari per la sua esistenza.
Qui non si parla di fenomeno da baraccone, ma di una probabilissima deformazione cognitiva che esiste dietro la parola INTERAZIONE e specialmente quando si unisce ad un’altra parola alla quale penso, si sia appassionatamente vicini, ‘architettura’.
In un altro scritto (Interazione reale o alterazione virtuale? vedi parametro.it) coglievo un aspetto particolare di questa parola.
L’interazione, mi chidevo, può ‘territorializzare’, unendo indissolubilmente l’uomo ad un luogo fisico o può astrarre metafisicamente la percezione da un ambito spaziale (architettonico) adducendo a luoghi ‘altri’ e contribuendo ad una certa distrazione dal reale. Dal ragionamento (anche lungo) si arrivava a dare una risposta infatti la seconda ipotesi era quella possibile.
Purtroppo si ricade sempre nel dire o consigliare all’interlocutore di leggere di più, ma lascio cadere questi attributi terminologici ad altri individui e in altri luoghi che penso siano lontani sia da Lei che da me e continuo.
Per il caso della Farnsworth House era successo che, già l’architettura aveva raggiunto un equilibrio tale in quel luogo che si poteva fare solo ‘filologia pratica’ tra cui esaltarne gli aspetti perchè diventasse un sito oltrechè fisico anche con un valore altamente didattico per chi vuole imparare o meglio vivere questo spazio, ma solo lì in quel luogo e in nessun altro. Poi, è chiaro che super-analizzando l’opera, in quel caso, si poteva percepire uno stato di occupazione virtuale che poteva essere interpretato come un vero e proprio interagire con lo spazio però v i r t u a l e di quella architettura. Abbiamo avuto ragione, ha vinto il valore didattico che l’opera poteva ancora comunicare, se ne sono accorti e guadagneranno di più tutti. Bene!
Più che sognatore sono un appassionato della letteratura storico-descrittiva zeviana e se lei avesse letto…..ALT! (vede come facile consigliare di leggere? Si è sempre dalla parte del giusto propositivo, ma non va bene per l’offesa che reca alla presupposta inabilità psicologica dell’interlocutore, quando invece tutti noi abbiamo una strada almeno storico-libresca da difendere, magari da ridiscutere, ma da difendere.) torno al discorso. Le descrizioni zeviane degli scitti su Michelangelo le osservazioni particolari dei disegni di Mendelsohn o l’architettura di Gaudì per me sono insuperabili, a questi aggiunga una visione ‘crepuscolare’ stimolante della critica del saggista Paul Virilio, senza però dimenticare l’architettura vitale nella descrizione delle piccole cose di ogni giorno di Roland Barthes e l’assordante teoria del quotidiano trasformarsi di Walter Benjamin. Sono scritti che hanno un denominatore comune un linguaggio che racconta come l’uomo ha bisogno di numerose metafore per comprendere equilibrando e stimolando la mente per vedere cose che non esistono, avendo aiuto da impulsi codificati di episodi vissuti. E’ quello che faccio quando scrivo di architettura (vedi ‘la soglia in dissolvenza’ e ‘Spazio…alle riflessioni’, su architettare.it, parlo dell’interazione usata come elemento architettonico, parlando di supporti riflettenti o trasparenti in spazi particolari, anche urbani, elencando tecniche e pratiche di partizione interne con pareti contenenti cristalli liquidi a trasparenza controllata (Nouvel insegna), dando un’idea di stravolgimento del semplice interno domestico, senza parlare di domotica), comunicando, come, dove e con quali mezzi arrivare alla soluzione definita, questa è la differenza tra un’interattività che comprende tutto o niente oppure quella verificabile immaginando ambienti descrivendoli o addirittura realizzandoli.
Per gli acquari con le nuvole dentro e i mouse giganteschi, in ‘L’uomo Altrove’ ho elencato dove e in quali progetti, è evidente una resa incondizionata purtroppo di alcuni architetti ad un trucco surreale (aumentando le dimensioni) di esperimenti che farebbero rivoltare Escher nella tomba. Soluzioni architettoniche che in Italia sono passate per meravigliose (solo ben pubblicizzate, altro pericolo) e che non hanno niente, ma proprio niente di interessante, se non lo stupore dell’effetto prospettiva dal basso per sottolineare un gigantesco ‘SUBLIME INFORMATICO’ (Ledoux e Boullée rimanngono sicuramente più avanti) come fa’ intuire Purini, evidenziano solo un’ esaltazione della bravura del caddista e dell’uso dell’utima versione che permette riflessi straodinari del guscio di una lumaca sul filo d’erba in primo piano con, sullo sfondo, si vede a malapena un fumoso progetto rivoluzionario!!!
Quella sì, è RETORICA, ma delle forme e delle immagini che è ancora più subdola nella sua opera di convincimento e adeguamento al banale!!!
E’ una pratica popolare che stà (meno male) tramontando.
L’architettura interattiva non è una realtà, è già il passato! Si parla di possibilità di creare una nuova generazione di database dove più individui possono interagire apportando tecniche e metodi per il controllo di forme complesse connesse con più postazioni, ma questo sottointende una pratica mediale e una strategia collettiva di comunità ‘unite’ da forze relazionali che vanno oltre l’interazione;
è come se Lei parlasse del telegrafo ad individui che posseggono programmi interni alla NASA di cui solo dopo trent’anni la gente comune apprezzerà li sviluppi (così è successo per il tubo catodico o televisione, così è successo per il computer, per internet ecc…) .
La parte che Lei definisce ‘romantica’, come intende Eco, risulta essere un valore ridondante, affettivo, (lo stesso fenomeno che la costringe a comprare un marchio di pasta italiano, quando è in un paese straniero, è affidabile, comprensibile) nella lettura che prende sottobraccio il lettore e lo accompagna mostrandogli i vari concetti un po’ più complessi.
Ma a parte questo ritengo che Lei giustamente ha sottolineato un grande ‘credo’ nell’interattività come forma espressiva di questo tempo e quindi dell’architettura.
Guarda caso, la romatica descrizione mi appassiona, ed è con questa che ho tradotto il lavoro di Simona Cillari, per meglio spiegare, in quanto ella lavora sulla possibilità di applicare stategie informatiche evolutive per generare e sviluppare una matrice formale in risposta a criteri informativi, che spiegando si traduce nel creare dei modelli tridimensionali fondendo parametri di codici diversi, unisce testure a colori a piani, stabilendo relazioni che andrebbero tutte analzzate.
Questa è una nuova metodologia per un’architettura interattiva. Le nostre analisi e la loro veloce pubblicazione ascrivono nuove notizie al caso, questo lo ritengo essenziale per Ravello, ma anche per i casi che si sono affrontati e quelli che si affronteranno. Quindi più discussioni propositive ci sono meglio è.
Ritornando, al discorso di Ravello, voglio sottolineare ciò che nell’altro scritto ho solo indicato, ma che vale da augurio per una buona riuscita del progetto.
Potrebbe essere infatti, l’occasione di un vero e proprio laboratorio sperimentale che dall’architettura di Neimeyer può diramarsi nell’intorno indicando un metodo di urbanizzazione ‘materica’ (architettonica) e, perche no? come aveva proposto Lei anche interattiva (gestione mediale), dimostrando come, ancora una volta (caso per la Farnsworth House indegna), parlando e discutendo di un luogo possano, già da adesso, nascere delle idee.
Questo è necessario perché viva in quel luogo, una confluenza di relazionalità che, a volte solidificandosi, generano ARCHITETTURA.


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Commento 593 di >>Isabel Archer
21/1/2004

In risposta a Paolo Marzano
Una buona notizia, pare che il Wwf abbia ritirato il ricorso al tar contro l’Auditorium di Ravello.

Ma veniamo al gentile Paolo Marzano: apprezzo il suo modo garbato d’invitarmi ad una riflessione, ma non capisco cosa intenda quando scrive: “Interattività a Ravello? Benissimo, ma non in questi termini.” Di quali termini stiamo parlando?
“Chi non è un ambientalista? Chi non difenderebbe e difende la natura? Nessuno vorrebbe che sparisse sotto colate di cemento e struture pilastate o a gradoni ?”
Su questo nutro dei fortissimi dubbi e comunque se s’impedirà ai proprietari del terreno, destinato all’Auditorium, di costruire un garage, questo non accadrà.
Lei probabilmente è un sognatore, eppure mi sembra che durante la campagna per la Farnsworth House si fosse ben reso conto del pericolo.
“Allora il passo dopo è: “usiamo l’architettura interattiva, cosa? chi? dove? quando? Già, sì quella sì, eccome, anzi è la soluzione!"”
Vedo però che è anche un disfattista. Qualche idea sul “chi” l’avevo lanciata in un mio precedente messaggio, ma preferirei, ripeto, un sano concorso, non c’è bisogno che io Le ricordi cos’è un concorso di idee spero.
Lo sa, Marzano, l’architettura interattiva non è un fenomeno da baraccone, rischia di diventarlo se ad occuparsene sono persone che non ne conoscono l’essenza e la scambiano per un allestimento scenografico degno di Eurodisney (“testuggini o mouse giganteschi”… sono forse i suoi incubi peggiori? Per gli “acquari prismatici con le nuvole dentro” ci si può lavorare, è un buono spunto).
“Ho scritto e raccontato tanto su quest’argomento”, forse dovrebbe leggere di più caro Marzano.
L’architettura interattiva comincia ad essere già una realtà in altri luoghi del mondo, si documenti. Lasciamo ai disegnatori specializzati i rendering e le sovrapposizioni di scritte, cerchiamo di non banalizzare l’apporto prezioso dei Futuristi alla nostra cultura. Lei ha un’idea davvero confusa, distorta e vaga di Interattività e di Futurismo.
Vorrei anch’io invitarla a riflettere sul fatto che a Ravello l’urbano per fortuna c’entra ancora poco, fino a quando a qualcuno non verrà in mente di proporre la progettazione di un ponte che, dopo varie iperboli temerarie, partendo da Paestum e facendo il giro attorno a Ischia, Procida e Capri, vada a schiantarsi dentro il costone roccioso dei monti Lattari. Mi scusi per la figurazione fortemente retorica, ma questo sembra essere il linguaggio che più le è gradito.
In ogni caso l’Information Technology è già di grande aiuto nel controllo della dimensione urbana.
Comunque, gentile Marzano, non voglio contestare punto per punto il resto delle sue osservazioni, che, sebbene espresse in una forma piuttosto “romantica”, sono dopotutto condivisibili.
Un dubbio atroce mi rimane: qualcosa le fa pensare che io sia un membro di Italia Nostra?
Rilegga con maggior attenzione i miei precedenti post.
Cordialmente

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Commento 588 di >>Paolo Marzano
20/1/2004

A favore dell'auditorium di Ravello, uno spunto di riflessione per Isabel Archer
Interattività a Ravello? Benissimo, ma non in questi termini.
La mia formazione architettonica contempla una piccola, ma importante, parte riferita alla fantascienza degli anni settanta e rimango perplesso quando delle verità tecnologiche allora profetizzate ora risultano realizzarsi .
Chi non è un ambientalista? Chi non difenderebbe e difende la natura? Nessuno vorrebbe che sparisse sotto colate di cemento e struture pilastate o a gradoni ?
Nessuno, ma queste sono banalità.
Allora il passo dopo è: “usiamo l’architettura interattiva, cosa? chi? dove? quando? Già, sì quella sì, eccome, anzi è la soluzione!"
Vediamo la situazione un pò più da vicino. Ho scritto e raccontato tanto su quest’argomento che per avere una sicurezza o controllo su di esso, pendo che ci vorrà ancora un pò tempo, di questo sono certo. Non bastano concorsi dove vengono premiati rendering e sovrapposizioni di scritte che già i Futuristi, guardando le riviste, erano abbbastanza avanti. Al massimo ora, stiamo sicuramente preparando le basi per individualità che, con strumenti nuovi, inizieranno a parlare di architettura interattiva.
Ma osserviamo: mentre le nostre città (centri storici mummificati, o meglio, ‘plastificati’ incelofanati e avvolti da quell’aura finta-vecchia che fa tanto ‘in’) sono sepolte e annerite da gas inquinanti derivati dalla combustione di carburanti scaricati direttamente nel nostro corpo, mai fin troppo controllati, ci accorgiamo che i regolamenti nei locali chiusi, per quanto riguarda il fumo da sigaretta, sono diventati rigidissimi.
Stride il confronto, e Italia Nostra?
L’uomo vive nella sua incompiutezza.
Le isole per le campane della raccolta differenziata che occupano spazio aumentano il loro numero perché aumentano le tipologie di materiali che consumiamo ogni ora, ed in modo esponenziale. Andrebbe indetto un concorso d’architettura per risolvere il problema spazzatura non come oggetto a sè, ma come sistema di relazione con ‘L’UOMO URBANO’.
Stride ancora il confronto con la città, e Italia Nostra?
L’uomo vive della sua incompiutezza
Oltre le campane per la raccolta dei rifiuti differenziati esistono degli ‘alieni’ accato a noi nel nostro vivere l’urbano; esili, con la testa grossa alti a dismisura e purtroppo tanti, proprio lì dove si realizza l’essenza della congestione cittadina, la segnaletica. Sempre tanta, sempre troppa e si moltiplica giornalmente, lo chiamano inquinamento visivo. Dovrebbe rientrarae in un sistema di strategia progettuale per cercare di inserire, davvero, l’interattività in questo campo. Secondo me, sarebbe risolutiva.
Stride ancora il confronto con l’umano osservare, o come dicono i saggi, ‘percepire la città’, e Italia Nostra ?
L’uomo vive sulla sua incompiutezza.
Facciamo un discorso più ampio.
La sonda ‘Spirit’ che non trova l’acqua su Marte, l’importante comunque è che sia arrivata, genera tanti sogni e tante speranze. Il mondo virtuale al quale abbiamo sempre pensato per tanto tempo ora, è a nostra disposizione, un intero pianeta da esplorare. Affinate le tecnologie sarà territorio di conquista.
Ma l’uomo è incompiuto e spero tanto che non venga in mente a qualcuno (non è improbabile) di trasferire scorie nucleari e rifiuti tossici sul sito marziano tanto lo spazio c’è ed è tanto. E allora cosa faremo se non ci siamo occupati di prendere delle posizioni convincenti in campo terrestre (cittadino) chi ci soddisfano? Accetteremo tutto tanto poi si risolverà in futuro? Avremo nascosto un’altra volta le bucce delle caramelle sotto il tappeto.
Sarà l’URBANO, il tema dominante di questo nuovo millennio, inserito però in un altro genere di relazioni, oltrechè mediali di matrice organica come un corpo vivente in cui l’interazione dovrà costituire un vero e proprio sistema nervoso sensibile e attento. Anche l’architetto saprà che oltre a progettare un’abitazione deve trattare con altre relazionalità di quell’abitazione vista come tassello insostituibile di un maglia relazionale ‘vivente’. Questo determinerebbe edifici e quartieri più vivibili. Purtroppo la mancata considerazione di certe componenti sociali ha fatto diventare l’URBANO, o un vero e proprio fortino super controllato o super degradato, isolato in periferie sociali percettive più che fisiche.
Stride ancora il confronto, l’URBANO è una NATURA da salvare. E’ un concetto complesso che però non esula dal non tenerne conto, e Italia Nostra ?
L’uomo vive nella sua incompiutezza e quando, come a Ravello, si creano delle confluenze d’interessi, non soltato economici, ma accompagnati da una certa qualità d’intervento architettonico che plasmerà unendole nello stesso luogo, forme artistiche quali musica, spettacolo, architettura, bellezze naturalistiche e storico-paesaggistiche appartenenti ad un ‘naturale’ sistema connettivo-collettivo in equilibrio biologico, allora per nessun motivo dovremmo lasciarci sfuggire l’occasione di osservare attentamente e registrare il susseguirsi degli eventi. Per me, và benissimo l’idea di Oscar Niemeyer, forse perfettibile, ma giusta, adeguata per quello che il maestro ha voluto esprimere per quel luogo e per questo momento storico, secondo le intuizioni seguite. Non vorrei si pensasse di poter cadere nell’errore di creare a Ravello acquari prismatici con le nuvole dentro, testuggini o mouse giganteschi. Bisogna anche lasciarsi convincere da un gesto architettonico funzionale (copre infatti l’orchestra che altre volte non ha potuto eseguire opere per il maltempo), quasi un rifugio e nello stesso tempo funge da osservatorio dell’intero panorama naturale.
In quel momento si creerà l’evento architettonico, una relazionalità tra varie realtà fisiche, il risultato sarà importante.



Trovo che non sia utile l'ennesimo panegirico su Niemeyer: non è in dubbio la forza creativa e l'impegno sociale di questo architetto.
Il suo spessore morale è ben noto a tutti.
Il dubbio è più che altro se sia sufficiente un gesto di alta suggestione poetica per procedere all'inserimento di un'architettura (sicuramente di evidente qualità) in un contesto che è quasi impossibile descrivere con le parole.
Voglio dire, l'essenza stessa del luogo interessato è anche natura, nuvole, compresenza di altitudine e mare, vertigine, ripeto, difficile descrivere.
Temo che si sia giocato troppo sul solo elemento "cultura", anche se iniziative come queste, tese alla valorizzazione delle risorse produttive a livelli alti di pensiero, sono rare.
"Non è l'angolo retto che mi attrae, e nemmeno la linea retta, dura, inflessibile, creata dall'uomo. Ciò che mi attrae è la curva libera e sensuale. La curva che incontro nelle montagne e nei fiumi del mio paese, nelle nuvole del cielo, nelle onde del mare, nel corpo della donna preferita. Di curve è fatto tutto l'universo. L'universo curvo di Einstein". (O. Niemeyer)
L'impressione è che quest'anelito di fusione con la natura non sia poi così riuscito.
Abbiamo altri mezzi oggi, oltre alle superfici curve, per inserirci in uno spettacolo complesso, etereo e materiale al tempo stesso, sfuggente, cangiante, vibratile e liminare.
Un’architettura interattiva sarebbe auspicabile in circostanze simili. Un dono che il paesaggio accolga, una struttura da “innestare” nel territorio predefinito e lasciar fiorire liberamente, evitando accuratamente ogni forma di rigetto, augurandosi anzi che il sistema naturale la inglobi presto, riconoscendola come una creatura propria.
Questo guscio, un po’ troppo “solido” e, se non in dimensioni, visivamente ingombrante, sembra contenere un’astrazione tutta “umana”, un concetto estraneo al fluire locale dei luoghi, inteso sia come secrezione costruttiva spontanea, che come morphing soggettivo, variabile e perpetuo della percezione di uno spazio così estremo.
Intanto vorrei indicare il sito in cui dovrebbe nascere questo progetto:
via della Repubblica, a 500 metri da Villa Rufolo, almeno dalle notizie on line si evince questa location.
Magari se qualcuno ha possibilità di andarci, potrebbe comunicarci le sue impressioni.
Cordiali Saluti

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Commento 586 di >>Paolo Marzano
17/1/2004

A favore del progetto per l' Auditorium a Ravello di Oscar Niemeyer

Questo caso è diverso, racconta non di un'architettura generata per richiamare l'attenzione, ma di un'architettura che completa un quadro generale d'esigenze umane. Qui non si 'decentra', non si 'decongestiona' non si 'restaura mummificando' non si 'decora scimmiottando', qui si creerà l'architettura per il suo primo scopo. Realizzare un desiderio che da tempo esiste ed ha bisogno di concretizzarsi in un 'ambito variabile' un architettura prodotta, questa è la cosa fondamentale, da una volontà collettiva. Il produrre architettura come continuazione materica di funzioni umane derivate direttamente da pratiche artistiche. Quale migliore luogo d'intervento dove l'architettura stessa chiama per un architetto?
E allora quale migliore possibilità se non quella di realizzare il progetto che Oscar Niemeyer ha preparato per Ravello?
Se la preparazione del Parsifal, predispose Richard Wagner, nel suo viaggio in Italia, a riconoscere tra le bellezze paesaggistiche, ed in particolare quelle di villa Rufolo, il giardino magico di Klingsor, allora possiamo avere una leggera percezione di un luogo dove diventa logico far nascere interessi culturali. Infatti, da cinquant'anni a Ravello si celebra un Festival dedicato a Wagner. La presenza per buona parte dell'anno, di musicisti artisti intellettuali, ha generato pratiche 'indotte' di rispetto e osservazione attenta dell'ambiente circostante che ha acquisito un valore aggiunto di notevole spessore sociale. E' in atto a Ravello una verifica pratica di come un ambiente storico può coinvolgere 'le arti' fino a trasformare elementi naturali in energie 'sensazionali' e 'relazionali' che esaltano l'ambiente paesaggistico senza il quale, è chiaro, non sarebbe sucesso un bel niente.
La natura ha preparato uno scenario che l'uomo può e deve comprendere, rispettare ma a maggior ragione, da questo è possibile far nascere altre forme di attenzione per elementi che con la natura si compenetrano o ne sono la diretta continuazione, vedi la musica, l'arte, la ricerca di nuove forme d'espressione artistica e non ultima l'architettura. A chi ha qualche dubbio sull'inserimento dell'auditorium vada a indagare nella storia dell'architetto Oscar Niemeyer. Una vita colma di tante e tali realizzazioni di ricercata qualità e di lotta contro la megalomania dittatoriale sui popoli, da uscire indenne da qualunque ipotesi di accusa di 'rovinare' un paesaggio con le sue idee.
Quando parliamo di un grande architetto qual' è Oscar Niemeyer, dobbiamo fare riferimento alla nostra onestà intellettuale e stabilire cosa intendiamo in quel momento quando usiamo il temine 'opera d'arte'. Una volta stabilita una definizione, la useremo per capire la vita intensa e sempre d'alto livello del maestro. Una delle caratteristiche essenziali della sua vita, ci accorgeremo, riguarda proprio la ricerca dell'opera d'arte (mai architetto fu più indicato, quindi, per Ravello). Certo, quando si tratta di progetti di opere pubbliche è molto difficile creare un'opera d'arte, ma il maestro ha guardato soprattutto alle nuove esigenze che il corpo costruito, genera nella confluenza delle funzioni, delle forme e della materia del suo stesso ambito (il luogo), rispettando così la continuazione dello spazio creato, con l'ambiente. L'architettura infatti deve sempre azzardare creando spazialmente eventi nuovi rispetto ad una trama 'funzionale' data, deve cercare secondo Niemeyier :" la bellezza, che è la preoccupazione di un artista e lo scopo di qualsiasi opera d'arte. […] Una volta Le Corbusier mi disse che io avevo negli occhi le montagne di Rio. E' vero. Ma non solamente le montagne di Rio".
Notiamo come la sua architettura plasticamente si evolve in forme antigravitazionali moltiplicando sbalzi e sperimentando nuove gestualità materiche che, definire moderne, determinerebbe una regressione al senso qualitativo dell'opera di un'intera vita. Il suo approccio progettuale, è di fronte al foglio. Testimonia il lavoro dell'architetto fatto di ricerca estenuante e continua capace di assorbire, maturare e mettere in pratica quei segni che derivano da una colta gestione emozionale delle forme e dello spazio 'attivo' che possono generare. Ecco perché il mestro 'evoca' più che schizzi (numerosi), dei 'grafici' d'architettura, in cui le linee denotano poetiche assimilate, testimoniano la serietà della pratica costruttrice conseguente e la responsabilità di 'corpi architettonici' che occuperanno un spazio 'ritrovato' per la vita dell'uomo. Non è un'architettura simbolica, ma è una pratica che affranca lo spirito, sollecita la percezione stimola la mente che si lascia andare, seguendo profili alla scoperta linee sinuose organico-materiche. Il passo seguente è già spazio.
Dalle interviste al maestro è chiara la sua dinamica d'intervento che lo vede ritornare più volte agli schizzi soprattutto quando la descrizione del progetto non lo convince; un ritorno per 'equilibrare', rimuovendo o aggiungendo 'materia' al geniale esercizio scultoreo. Quando un po' di tempo fa, il suo intervento alla Casa della Cultura a Le Havre, collaborando con Le Lyonnais, turbò per la diversità d'inserimento, ecco che Bruno Zevi parlò di "forma assai plastica dalle robuste palpebre cementizie a commento di asprigni tronchi di cono distorti e rigati".
Ancora una volta alle funzioni, il maestro fonde un'ineguagliabile poetica spaziale i cui termini procedono comunque ad esaltare lo spazio di un ambito architettonico realizzato e convincente.
Dopo "le testuggini" dell'Auditorium di Roma, di Renzo Piano che contribuisce ad arricchire il patrimonio della città eterna, ora osserviamo la gestualità di un'opera che si espande e nella sua definizione plastica; caratterizza il luogo con i termini di un'architettura che oltre ad inserirsi benissimo nel clima mediterraneo (colori, masse e realtivo studio di ombre) contribuisce a stimolare una pratica costruttiva più propriamente artistica che è lo scopo di quello che l'auditorium vuole indicare come elemento iniziatore. Alcune zone d'Italia, ancora non conosciute da molti, hanno delle caratteristiche che oserei definire 'elettive' per il concretizzarsi di quelle che sarebbero delle rinnovate percezioni, capaci di dare all'ambiente e soprattutto alla collettività nuova linfa. Sollecitando così, interesse paesaggistico e culturale, insufflando, ne sono certo un nuovo tipo di energia vitale all'intera zona. Tocca alle amministrazioni locali riuscire ad evidenziarne le caratteristiche perché poi, a livello centrale, possano essere amplificate e dotate della giusta 'aura' d'interesse sociale. Quindi, mostrate come esempio di 'rivalutazione', (in quanto storicamente riconosciamo la grande importanza del luogo in questione) di patrimoni fin troppo sottointesi o azzittiti da brutture costruttive. Naturalmente interventi di questa scala e di questo genere devono assolutamente essere interessati da un giusto controllo perché non vengano generati mostri.
Ebbene tra tutti i casi proprio questo non ha niente a che vedere con questo discorso, Oscar Niemeyer non è l'architetto 'personaggio', è l' architetto e basta. La qualità non gli è stata indotta per nomina, ma l'ha ricercata, sprimentata, esercitata e confermata ed ora contempliamo il 'prodotto' architettonico d'alto livello. Se d'architettura si deve parlare, bene, il maestro Niemeyer è uno degli esponenti la cui vita è esempio tutt'ora per almeno una o due generazioni di architetti. Osserveremo la costruzione passo per passo e ne discuteremo le visioni e le riflessioni che sicuramente verranno stimolate. Osserveremo gli avvenimenti da vicino, indagheremo dove la burocrazia farà capolino per rallentare o disperdere energie, e tutto ciò funzionerà da 'precedente' per le prossime idee ed interventi sul nostro territorio. Ai giornali locali, più vicini proporrei di documentare con foto e articoli le vicende che si susseguiranno perché tutta l'Italia possa partecipare a questa costruzione di un' ARCHITETTURA continuando ad imparare dai grandi maestri.

Siti di riferimento:
http://www.niemeyer.org.br/
http://www.sintesieuropa.com/schede/oscar_niemeyer.htm
http://www.nextonline.it/archivio/11/07.htm
http://www.archphoto.it/IMAGES/Manzione/manzione1.htm
http://musibrasil.net/stt/vsl_stt.asp?ids=30
http://www.architettiroma.it/archweb/dettagli.asp?id=4947
http://www.costruzioni.net/AuditoriumRavello.htm


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Commento 583 di >>Isabel Archer
15/1/2004

Mi spiace per la svista sul “deserto delle mummie”, che per me rimane comunque tale, non me ne voglia l’amabile e illuminato Domenico De Masi.
Personalmente sono d’accordo con Pierluigi Molteni: “Possibile che nessuno degli autorevoli firmatari dell'appello non si sia chiesto se non fosse il caso di indire un concorso per un tema così importante?” Sarebbe stato doveroso.
Sempre augurandoci un concorso libero dagli strani arcasi nazionali, d’altronde sarebbe sufficiente seguire le semplici e acute indicazioni di Beniamino Rocca.

“L’Italia è un paese, comunque, nel quale chi non è scettico è fanatico: un paese dove non c’è posto per una saggezza costruttiva.” (L. Quaroni, 1957).
Sono passati quasi 50 anni e sembra che non sia cambiato niente.

Quindi dopotutto comprendo la sua posizione, gentile Paolo G. L. Ferrara, ma è pur vero che la critica “deve essere parziale, appassionata, politica, vale a dire condotta da un punto di vista esclusivo, ma tale da aprire il più ampio degli orizzonti” (C. Baudelaire).
Cordiali saluti

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Commento 582 di >>Carlo Sarno
12/1/2004

"...E' evidente che una cultura organica , nel suo sforzo di dare una base e una storia all'uomo moderno disperso e senza radici e di integrare le esigenze individuali e sociali che si presentano oggi in forma di antitesi tra libertà e pianificazione , cultura e pratica , rivolgendosi al passato , e specificamente alla storia dell'architettura , non può usare due diversi metri di giudizio per l'architettura moderna e per quella tradizionale . Noi avremo fatto un deciso passo avanti nel cammino di questa cultura - organica - , quando saremo capaci di adottare gli stessi criteri valutativi per l'architettura contemporanea e per quella che fu edificata nei secoli che ci precedono ... ". Bruno Zevi , Saper vedere l'architettura .
Grazie Paolo per la tua sensibilità critica , un grazie anche a Beniamino per la sua passione per una architettura vivente , ed un grazie specialmente ad Oscar che ha donato all'Italia un altro suo preziosissimo fiore!
Cordialmente Carlo


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Commento 581 di >>Beniamino Rocca
12/1/2004

L'ottimo Domenico De Masi potrà anche perderla, temo, la sua battaglia per il bel progetto di Niemeyer a Ravello, ma le persone libere saranno sempre dalla sua parte.
Dalla parte del progresso, della modernità, della complessità e della civiltà, di cui l'architettura è sempre espressione vera.
Le associazioni ambientaliste -come Italia Nostra- che hanno la spudoratezza di scrivere a Ciampi, loro sì, andrebbero sciolte; non un consiglio comunale democraticamente eletto!
Da decenni queste associazioni spacciano la loro "impotenza creativa" come "castità". Minacciano le istituzioni, mobilitano su stampa e tv, fondano partiti politici.
Dove erano i comunisti alla Vezio De Lucia, tutti attenti al rispetto delle leggi urbanistiche (e alla cultura dello standard, quando a Genova, alla metà degli anni ottanta, la giuria presieduta da Paolo Portoghesi approvò il deleterio progetto del teatro Carlo (in)Felice: di 15 metri più alto di quanto consentito dal PRG?
E le associazioni ambientaliste? e Italia Nostra? e il mondo accademico cosa hanno fatto? Oltre che illegale, quel progetto era anche il più caro!
E' davvero ora di finirla con "l'avanguardia dei gamberi" con la consolante e tranquillizzante logica del già conosciuto, del pittoresco; insomma, della mediocrità sempre vincente perchè non disturba.
Quando capiranno la lezione wrightiana che "...il cambiamento è l'unica costante del paesaggio"?
In architettura, così come nell'arte "Senza lacerazione e senza rottura non c'è bellezza" (Chambas).


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Commento 580 di >>Pierluigi Molteni
11/1/2004

Fatto salvo anche per me il cappello del precedente commento, e quindi assoluto accordo sul giudizio per le patetiche esternazioni di Sgarbi (che ormai si commentano da sole), sull'assurda prevenzione generalizzata nei confronti delle opere di architettura, sull'impegno ed il prestigio di quanti sono scesi in campo in quest'occasione, mi sembra però si stia perdendo di vista l'oggetto stesso di tanto impegno. Come al solito le crociate ideologiche fanno spesso piazza pulita di tutte le considerazioni intermedie che servono ad arricchire e ad approfondire l'approccio ai temi. Non vorrei essere preso per passatista (tra l'altro mi sembrava ormai fuori moda la disputa tra moderni vs. resto del mondo) ma mi sembrano francamente manichei tutti quei ragionamenti per cui chi è contro questo progetto è contro l'architettura moderna. Possibile che nessuno degli autorevoli firmatari dell'appello non si sia chiesto se non fosse il caso di indire un concorso per un tema così importante? Tra l'altro sarebbe anche servito per affinare una cultura architettonica locale (parlo dell'amministrazione pubblica di ravello) che è rimasta ferma al pur prestigioso architetto brasiliano: nel frattempo ne è passata dell'acqua sotto i ponti, anche per quanto riguarda l'attenzione dell'architettura contemporanea per l'inserimento in contesti storici o di pregio ambientale. Siamo sicuri che questa bella scultura si inserisca con la dovuta attenzione all'interno del paesaggio (nel sito non c'è alcuna ambientazione che ne consenta una serena valutazione)? Siamo sicuri, all'alba del 2004, che la vera esigenza di Ravello, massacrata, come si legge nel sito della fondazione, da tante brutte architetture, sia un segno forte (siamo ancora a questo punto)? possibile che, all'alba del 2004, si senta ancora l'opportunità di "aggiungere" piuttosto che "togliere"?

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Commento 579 di >>Isabel Archer
11/1/2004

Premesso:
1) che condivido pienamente le riflessioni di Paolo G. L. Ferrara sull’abusivismo, sull’assurda burocrazia e sulle beghe bizantine e massoniche della politica italiana;
2) che se ci fosse da sottoscrivere un ulteriore documento a favore della costruzione dell’Auditorium di Niemeyer lo farei subito, quanto meno per scegliere il male minore, di fronte all’opportunismo del guadagno personale contrapposto al bene di una comunità;
3) che ovviamente preferisco l’opera di un grande architetto all’ennesimo triste scheletro di cemento che vediamo spuntare in ogni luogo d’Italia , proprio sul più bello, mentre ci stiamo godendo la scoperta di nuovi squarci di paesaggio.

Premesso tutto questo, devo dire, però, che proprio non capisco perché un’opera che voglia discretamente inserirsi in un contesto prezioso debba per forza essere “un riferimento visivo per chiunque guarderà Ravello da lontano”, perché questo desiderio di occupare il territorio degno dell’uomo di neanderthal?
Non sarebbe stato meglio affidarsi ad un’architettura più “trasparente”, più aperta, meno “strutturale”, meno bianca, meno compatta? Un’insieme che contenesse in sé i principi stessi della natura, che si lasciasse attraversare dai flussi di luce, di azzurro, di verde, di tempo atmosferico, fino a diventare quasi invisibile. Un organismo costruito che rispondesse agli stimoli esterni, che interagisse con l’ambiente circostante. Intervenendo in un sito così unico sarebbe stato doveroso adottare criteri altrettanto unici, disegnati su misura, flessibili al punto tale da farsi parte stessa dell’ambiente. Un gesto artistico non è sufficiente.
Si parla tanto male di Gehry e delle sue lamine di titanio, ma almeno esse sanno riflettere quello che le circonda. E poi perché questa nuova creazione dovrebbe essere meglio della chiesa di Meier?
Ma dico io, con tutto il rispetto per Niemeyer, per De Masi e per le loro intenzioni sicuramente più che illuminate, ma proprio un architetto che li dimostra tutti i suoi 95 anni bisognava andare a scomodare oltreoceano? Con tutte le sperimentazioni d’avanguardia interessantissime che abbiamo a disposizione oggi nell’architettura, con tutte le figure emergenti e le giovani promesse del mondo architettonico.
Perché non scegliere Bernhard Franken o Farshid Moussavi e Alejandro Zaera-Polo?
E poi, gentile Paolo G. L. Ferrara, perché citare “Gli esperti più autorevoli (da De Seta a Fuksas, da Portoghesi a Pagliara e a Rosi)”? Ma cos’è, il deserto delle mummie?
Mi scusi ma non riuscivo a tenermela dentro questa e ripeto, tutto ciò che ho espresso in questo post vuole essere comunicato all’insegna del profondo rispetto per tutte le persone coinvolte e per la dimensione di singolarissima bellezza del luogo interessato dalle vicende di cui discutiamo. Spero di non essermi lasciata trascinare dalla passione e di aver usato un linguaggio adeguato.
Cordiali saluti

...
11/1/2004 - Paolo GL Ferrara risponde a Isabel Archer:
Non sono volutamente entrato nel merito dell'architettura di Niemeyer a livello linguistico. M'interessava affrontare un argomento che è "conditio sine qua non" affinchè si possa poi entrare nel merito proprio dell'architettura: che l'architettura contemporanea trovi spazio anche in Italia.
La situazione è di allarme rosso, e ne siamo tutti consapevoli. Finchè continueremo a "non costruire" sarà difficilissimo educare l'utenza alla qualità dell'architettura moderna e contemporanea.
Personalmente, mi è del tutto indifferente che il progetto sia di Niemeyer, o di Meier, o di Tschumi, o di Gehry, o di Nouvel, o di Piano, etc. Importante che non sia di Grassi, Gregotti, Aulenti, Bofill, Purini, Krier, Zermani, etc.
"Gli esperti più autorevoli" li cita De Masi. Ne avrebbe potuti citare altrettanti.


cordialità

ANONIMO
Anonimo ha detto…
ANONIMO AMALFITANO

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